34-I will tell you the truth

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«Allora» Presi parola, leggermente in imbarazzo, mentre percorrevamo le varie corsie del supermarket. «Da quanto vivi qui a...» M'interruppi, non sapendo, effettivamente, dove fossimo.

«Siamo a quindici miglia da Boston, cara, precisamente a Nahant Beach.» M'informò, sorridendomi, poi rispose alla mia domanda. «Vivo qui da venticinque anni. La mia famiglia e io abbiamo abbandonato il nostro paese nativo, quando ero ancora una ragazza di vent'anni e siamo giunti in America.» Mi spiegò.

«Capisco. Dove abitavi prima?» Le chiesi, mentre lei afferrava un barattolo di marmellata.

«Son de origen español» Parlò nella sua lingua madre e le rivolsi un leggero sorriso, comprendendo perfettamente quello che stava dicendo.

«Yo tambien puedo hablar español» Asserii. «Sono molto brava con le lingue, ma il mio spagnolo è migliorato grazie al mio migliore amico, infatti, da bambino abitava lì, poi si è trasferito a New York, dove mi ha incontrata.»

Non amavo parlare della mia vita, però, se volevo ottenere la sua fiducia, dovevo mostrarmi aperta.

«Fantastico!» Esclamò, felice di quella rivelazione.

«Come mai vi siete trasferiti in America?» Le domandai, mentre l'aiutavo a trasportare le buste fino alla sua auto.

«Mio fratello maggiore morì in un incidente d'auto. Eravamo distrutti dal dolore e sentivamo la necessità di cambiare aria.» Mi sorprese il modo in cui parlò: mantenne il sorriso sulle labbra, ma nelle sue iridi verdognole era impresso il dolore causato dalla perdita.

«Mi dispiace, Mathilde.» Mi suscitò tenerezza.

«Inoltre, non stavamo vivendo un buon periodo economico, però, fortunatamente, tua mad-»

Si bloccò di scatto, sbarrando gli occhi.

«Mia madre...?» Incalzai, impaziente di scoprire il resto della storia che, come avevo immaginato, coinvolgeva anche la mia famiglia.

«Uhm... mi dispiace, Alexandra... io non posso parlartene.» Vacillò quando incontrò i miei occhi seri.

Non puoi tirarti indietro, userò tutte le mie capacità persuasive pur di scoprire la verità. Pensai con determinazione

«Mathilde, puoi stare tranquilla, questa conversazione rimarrà tra di noi.» Tentai di essere gentile, ottenendo da parte sua il silenzio. «Non voglio mostrarti il mio lato peggiore, Mathilde. Mi sembri una brava donna. Dimmi la verità e tutto si concluderà al meglio, te lo assicuro.» La mia voce aveva un timbro minaccioso e lei se ne accorse.

«Santa madre, ayúdame.»

Sollevai gli occhi al cielo.

«Quindi?» Sbottai impaziente.

Fermò la macchina, su cui eravamo salite, in un parcheggio che costeggiava un vecchio parchetto per bambini. Scese dal veicolo e andò ad accomodarsi su una panchina di legno, quella più nascosta. La seguii silenziosamente, scrutandola con i miei occhi scuri.

«La mia famiglia non stava passando un florido periodo economico, tuttavia, quando arrivammo qui i miei genitori incontrarono Stephanie, tua madre. Mio padre era malato e le sue cure erano molto costose, per questo, non potevamo permettercele. La dolce Stephanie, comprensiva come nessuno lo era mai stato nei nostri confronti, ci propose di lavorare alla loro villa, come cameriere. Io, come ho già annunciato, ero giovane, amavo mio padre e volevo che tornasse in forma, dunque, la settimana seguente, mia madre e io, iniziammo a lavorare nella tenuta dei Morrison - Davison.»

La interruppi.

«Se eri a New York, cosa ci fai qui, ora?» Chiesi, leggermente confusa.

«No, cara, mi riferisco alla casa dove state alloggiando.»

Annuii. Avevo capito che quella era una delle ville della nostra famiglia, tuttavia sentirselo dire era diverso. Strizzai gli occhi, quando avvertii la mia testa girare per qualche istante.

«Alexandra, tutto bene?» Domandò allarmata.

«Sì, tranquilla, prosegui con il tuo racconto.» Poggiai la schiena al legno ruvido della panchina e sospirai.

«Gli anni passarono in fretta e, dopo il matrimonio, i tuoi genitori concepirono Caleb e Ian, i tuoi fratelli. Li ho visti crescere quei due marmocchi.» Si asciugò velocemente una lacrima e fece un sorriso triste. «Dopo la loro nascita, tuo padre cominciò ad andare e venire da New York. Credo lo facesse per lavoro.» Mi spiegò. «Chiese frequentemente a Stephanie di trasferirsi in città, ma lei rifiutò sempre. Amava il mare: le piaceva ascoltare il rumore delle onde dell'oceano che bagnavano la sabbia dorata, per poi ritornare indietro, in un moto continuo, passava giornate intere stesa sul lettino, con il sole che s'infrangeva sulla sua pelle olivastra e faceva sempre colazione sul balconcino della sua camera, con la vista della distesa azzurra, ad eccezione di quando pioveva. Stephanie adorava, d'estate, tenere la finestra della stanza da letto aperta e bearsi del profumo di salsedine e odiava l'idea di trasferirsi a New York, non voleva vivere in una città caotica.»

Mentre parlava di mia madre, sorrideva continuamente. Immaginai che il loro rapporto dovesse essere più profondo di quello tra un capo e il proprio dipendente.

«Ricordo che i tuoi genitori litigavano spesso, ma non riuscivano a tenersi il broncio. Ad Adam bastava guardare gli occhi di Stephanie per decidere che sarebbero rimasti qui, nel posto che lei amava.» Mi guardò teneramente, fermandosi qualche secondo. «Tua madre rimase incinta di te e, per tutto il tempo della gravidanza, si sistemarono nella tua città. Quel trasferimento fu sospetto, era successo qualcosa, l'aria che si respirava era carica di tensione, però cercavo di non darci troppo peso e di non ficcanasare. Sei nata il ventuno luglio.» Quando pronunciò quelle ultime parole, tutto si arrestò per qualche minuto. Quella data, per me, non era un momento di festa. Non lo era più da sedici anni. Quel giorno era ricco di cattivi ricordi che avevano lasciato un segno indelebile dentro di me.

«Dopo la tua nascita, tua madre venne qui, passando il resto dell'estate a contatto con la sabbia e il mare. Faceva così ogni anno. Vi trasferivate a Nahant Beach nei tre mesi estivi e, all'inizio di settembre, tornavate a New York.» Affermò. «Gli anni passarono tranquilli, fino a che non arrivò il tuo quarto compleanno. Quel ventuno luglio lo terrò per sempre in mente... il resto della storia la conosci anche tu.» Sussurrò, asciugando quelle lacrime che bagnavano le sue gote. Io, invece, avevo lo sguardo puntato verso un luogo indefinito, mentre ricordi tristi sopraffacevano le immagini reali.

"Era piccola, se ne dimenticherà". Tutti ripetevano quella frase come se fosse un mantra. Avevano ragione, avevo scordato il luogo in cui si era consumata la tragedia, però, assistere in diretta alla morte di un genitore, sentire lo sparo, vedere il corpo della propria madre cadere a terra, con il sangue che sgorgava dalla ferita, queste cose non si dimenticano.


Sono di origini spagnole

Anche io posso parlare lo spagnolo

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