16-You won, but the game is still long

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Mi spinsero, costringendomi a camminare più velocemente.

Mi sembrò di avanzare verso un unico e lungo corridoio, che sapeva di muffa. Cominciammo a scendere delle scale e inciampai più volte nei miei passi, poiché avanzavo alla cieca; pensai che mi stessero portando in un seminterrato o qualcosa di simile. Dai minuscoli fori della stoffa che avvolgeva il mio volto, riuscivo a vedere solo sfocati muri bianchi.

Ero certa che gli uomini di Ivanov non avessero buone intenzioni nei miei confronti.

Quando terminò la lunga scalinata, mi invitarono a entrare in uno stanzino e mi obbligarono a sedermi su una sedia, legando le mie braccia e le mie gambe con una ruvida corda.

Odiavo il senso di disorientamento che stavo provando; amavo avere tutto sotto il mio controllo e, quella situazione, era tutto fuorché quello.

Non avevo armi e la testa mi doleva, come se un picchio stesse battendo incessantemente, con il suo becco, sulla mia scatola cranica. Il fastidio era dovuto al forte colpo ricevuto quando mi avevano catturata.

Ero agitata, inoltre, perché nessuno sapeva dove mi trovassi, quindi, nessuno mi avrebbe cercata.

Ero fottuta.

Provai ad agitarmi sulla sedia, sfregando i polsi contro la superficie legnosa, cercando, in qualche modo, di rompere le corde, tuttavia i miei tentativi parevano inutili, poiché le corde non si allentarono nemmeno un po'.

Arrestai i miei movimenti quando sentii la porta della cella aprirsi. Dai fori del cappuccio nero, riuscii a distinguere una figura maschile, tuttavia non fui in grado di riconoscerne i tratti. Con un rumore stridulo sembrò spostare una sedia, che pose proprio davanti alla mia.

«Bene, chi abbiamo qui?» Quando riconobbi la sua voce i battiti del mio cure parvero rallentare; un impercettibile respiro di sollievo abbandonò le mie labbra carnose. Avvertii un peso sollevarsi dal cuore; mi sentii come un marinaio quando, mentre naviga, vede il mare tornare calmo dopo una terribile e cruenta tempesta.

Decisi di rimanere in silenzio. Volevo che Dylan mi togliesse il cappuccio dal volto, così che avrei potuto osservare il suo braccio. Il mio piano era, in parte, andato a puttane, però non era ancora detta l'ultima parola.

Se avessi parlato, mi avrebbe riconosciuta e probabilmente non mi avrebbe scoperto gli occhi.

«Allora, bambolina, non rispondi?» Il tono della voce parve irritato e io ghignai da sotto il tessuto. La pazienza era il suo tallone d'Achille.

«Amo le ribelli...» Sussurrò al mio orecchio, tentando di sedurmi. Alzai gli occhi al cielo e mi trattenni dal pronunciare un'imprecazione nei suoi confronti. Volevo abbandonarmi all'impulsività, tuttavia riconobbi che dovevo rimanere silenziosa ancora qualche istante, altrimenti il mio piano, che era già stato, quasi, rovinato, sarebbe stato totalmente inutile.

«Sono costretto a usare le maniere forti, bambolina.» Concluse e poi tirò via il cappuccio.

Un'ondata di luce m'investì e socchiusi gli occhi. Anche se con un leggero sforzo, il mio sguardo puntò sul braccio destro di Dylan.

Quella sera, il russo, indossava un pantalone nero elegante e di buona fattura, che fasciava le sue gambe toniche e muscolose, abbinato a una camicia bianca, aperta sui primi tre bottoni.

Con i capelli leggermente disordinati e gli occhi stanchi, contornati da profonde occhiaie scure, mi osservava attentamente, con lo sguardo misto tra l'adirato e il confuso. Nonostante la camicia, la benda che gli copriva il braccio sinistro era ben visibile. Ebbi, quindi, le prove che cercavo. Non mi ero sbagliata e non l'avevo confuso durante il disordine che aveva annebbiato quel momento; gli uomini che ci avevano aiutato e difeso erano quelli di Dylan Ivanov.

La domanda che sorgeva spontanea, dopo le conferme alle mie ipotesi, era: "Per quale ragione si trovavano in quel punto e perché ci avevano aiutati?"

Le mie riflessioni furono interrotte dalla sua voce roca e seccata.

«Sul serio, Morrison? Vieni in casa mia per spiarmi?» Domandò in uno sbuffo, accomodandosi sulla sedia in modo poco elegante.

«Non è un piacere neanche per me, se devo essere sincera. Sono venuta qui per trovare conferma a un mio dubbio» mossi il capo in direzione del suo braccio. «E a quanto pare non mi sono sbagliata. Desidero delle risposte, Ivanov.» Risposi.

«A cosa ti riferisci, ragazzina?» Mi chiese, fingendo smarrimento.

«Avanti, è inutile negare. Sono stati i tuoi uomini ad aiutarci durante l'attacco.» Asserii convinta. Non poteva mentirmi, non avrei creduto alle sue invenzioni.

«A quale attacco stai facendo riferimento?» M'interrogò, calandosi nel personaggio. Un particolare, però, lo tradì; la sua gamba continuava a fare su e giù, in un tic ansioso.

Perché mai un innocente avrebbe dovuto essere ansioso?

«Cosa ci facevate lì?» Ignorai il suo quesito, esponendone a mia volta uno.

Sospirò e sbuffo.

«Passavamo di lì.» Rispose vago, alzandosi dalla sedia e avvicinandosi a me, per slegare le corde che mi tenevano ferma.

«Mi stavi seguendo?» Domandai nuovamente.

«Hai fumato un po' di erba, malyshka?» Chiese ironico.

Lo afferrai dal colletto della camicia e lo spinsi contro il muro.

«Mi stavi seguendo?» Sibilai nuovamente, ormai al termine della pazienza, attendendo una risposta concreta.

«Ho detto che passavo di lì!» Sbraitò. L'avevo fatto innervosire davvero, ma non mi importava. «Uno dei miei uomini ti scorterà all'uscita. Sono stanco e non ho tempo da perdere con te.» Si liberò dalla mia presa e inizio a camminare verso l'uscita di quel minuscolo stanzino.

«Non m'importa, voglio risposte!» Insistei.

«Va via, ragazzina, prima che io decida di farti sparare da uno dei miei uomini.» Mi tirò per un braccio, facendomi scontrare contro il suo petto.

«Cosa c'è? Non hai le palle per spararmi tu stesso?» Lo beffeggiai.

«Va a casa, piccola Morrison, è tardi.» Rispose semplicemente, lasciandomi libera.

Due uomini mi scortarono fino alla porta. Uscii dall'ampia villa e mi diressi verso la mia moto, infuriata, per non aver annientato tutti i miei dubbi.

Quella volta aveva vinto lui, ma eravamo solo all'inizio; il gioco sarebbe durato ancora per molto.

Con te non ho pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora