30-Would be proud of you

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Mi sollevai di scatto dal tavolo, sotto gli occhi sconcertati di tutti, facendo scontrare la sedia al suolo e, a passo di marcia, con una furia sempre più accentuata, mi diressi al piano di sopra. Sentii mio fratello richiamarmi, tuttavia la sua voce arrivò biascicata, quasi come se mi trovassi sott'acqua: la mia impulsività e la sete di vendetta stavano vincendo, come accadeva spesso.

«Un buon capo deve sempre sapere quando è il momento per essere irragionevoli e, quando, invece, bisogna mantenere la compostezza.» Me lo ripeteva sempre mio padre: era uno degli insegnamenti su cui premeva di più, dato il mio carattere, eppure, in quell'istante, quelle parole erano scomparse dalla mia mente, la quale si divertiva a mostrarmi immagini sanguinolente in cui torturavo e uccidevo i colpevoli dell'attacco alla mia famiglia. Tutti loro dovevano essere puniti nei modi peggiori, nessuno poteva tentare di nuocere alle persone a me care; non avrei permesso ad alcuno di portarmi via la gente cui volevo bene. Avevo vissuto il dolore della perdita una volta ed ero decisa a non provarlo ancora.

Ci hanno attaccati e non meritano pietà. Mi ripetevo nella mente, mentre frugavo con nervosismo all'interno del borsone che avevo posato nella mia stanza. Finalmente potei impugnare la mia pistola e, quando le mie dita si strinsero sulla superficie scura, un ghigno malevolo increspò le mie labbra. Uscii nel corridoio, dove, ad attendermi, c'erano Katherine e Caleb, che continuavano a urlarmi contro per farmi ragionare.

«New York è distante da qui. Farai tre ore di viaggio da sola, e poi? Andrai da loro e ti farai uccidere.» Intervenne la mia amica, afferrandomi una spalla.

«Non sono una sprovveduta: ho un esercito intero dalla mia parte, Katherine.» Commentai, scostandomi dal suo tocco e scendendo le scale.

«Non hai un piano e sei ferita. Lascia che se ne occupi tuo padre, per favore.» Tentò ancora, ma la ignorai.

«Papà, il nostro fottuto capo, Alexandra, ci ha ordinato di rimanere qui e tu starai alle sue regole.» Caleb cercò di far leva sull'autorità di Adam.

«Vogliamo scommettere?» Le mie parole sussurrate furono accompagnate da un sorriso malizioso.

«No, voglio solo che tu ragioni, cazzo! Ti conosco bene. Ami gettarti nel pericolo, agire d'impulso e rompere le regole, ma questo è il momento di pensare. Ci stanno dichiarando guerra e i conflitti si vincono con le strategie, non con l'improvvisazione.»

Per un attimo sentii il bisogno di fermarmi e riflettere, poi la rabbia e la paura di perderli tornarono a prendere il sopravvento e, con queste, anche la sete di vendetta. Sembravo una tigre che era stata rinchiusa in gabbia per moltissimo tempo, cibata con discontinuità, che aveva totalmente perso il controllo, poiché desiderosa di libertà e smaniosa di uccidere la sua insulsa preda.

«Penserò a un piano d'attacco durante il viaggio verso New York, quindi levati di tono.» Asserii, mostrando una calma che non mi apparteneva.

Durante la telefonata, nostro padre ci aveva comunicato che, dopo numerose torture, il prigioniero, catturato durante l'attacco, aveva rivelato il nome del mandante. Ad aver architettato, quello che si era rivelato un piano fallimentare, era stato Walter Young, lo stronzo inglese a cui avevo impedito la vendita delle donne.

Anche nel dichiarare guerra, la mafia aveva delle regole: il tutto aveva inizio con l'avvertimento, quello che avevamo ricevuto noi, in cui la famiglia offesa attaccava in modo superficiale i nemici; successivamente c'era l'incontro che la famiglia offesa organizzava con l'opposizione, e, nel caso in cui non si fosse giunti a un accordo, avrebbe avuto inizio la guerra. Tuttavia, nel caso di famiglie potenti come la nostra e quella di Young, poteva anche verificarsi un contro avvertimento.

Con te non ho pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora