44-Stranger

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Avevo confessato le mie scoperte a Luke, farlo aveva alleggerito il peso che mi portavo dietro. Dello spagnolo, dopo averci trascorso metà della mia vita assieme, mi fidavo ciecamente e parlargli era stata la cosa migliore.

Ci eravamo seduti sul divanetto in soggiorno, dopo che aveva salutato Ian con un bacio a fior di labbra, e gli avevo mostrato il video copiato sulla chiavetta, esponendogli i miei dubbi riguardo allo strano comportamento di Ralf, che poteva essere anche una semplice coincidenza.

A Ian e Caleb non volevo ancora dir nulla, un po' perché covavo del rancore nei loro confronti, ma anche perché avevo bisogno di prove concrete, prima di dichiarare colpevole un uomo che ormai consideravamo parte integrante della famiglia. Ralf, inoltre, aveva sempre avuto un rapporto più intimo con i miei fratelli, forse perché loro erano maschi e io sapevo che non mi considerava abbastanza pronta da afferrare le redini dell'impero dei Morrison, quando mio padre l'avrebbe deciso. Erano dei pensieri maschilisti e banali su cui non mi soffermavo mai troppo; ero a conoscenza delle mie capacità e opportunità che avrei potuto dare al mio clan. Lo sapeva anche Adam che, seppur spesso contrario ai miei modi di fare, nutriva una forte fiducia in me.

La mia moto correva sull'asfalto umido della sera che, ormai, era calata da un po'. Eravamo diretti verso quello che noi amavamo definire il genio, anche conosciuto come Stranger, il suo nome d'arte. Quel ragazzo aveva una mente eccellente, predisposta all'informatica che, noi dell'organizzazione, avevamo imparato a sfruttare. Si era avvicinato al nostro mondo tempo addietro, quando ancora era minorenne, me l'aveva raccontato mio padre, e, da allora, forse per i guadagni che riceveva o per il rispetto che gli avevamo concesso, non aveva mai smesso di servire la nostra famiglia. Aveva un modo di fare molto particolare. Erano pochi ad averlo visto in viso e tra questi c'ero io. Era astuto e preferiva celarsi dietro un nome che tradotto, significava letteralmente sconosciuto.

Parcheggiai la moto fuori da un pub e liberai la mia chioma dal casco integrale. La zona non era delle più tranquille, ma chiamarsi Alexandra Morrison aveva delle note positive e, tra queste, vi era il completo rispetto e terrore che la gente aveva nei mie riguardi.

Quando entrammo nel locale, alcuni lanciarono sguardi verso la nostra direzione, tuttavia nessuno osò dire nulla, si limitarono a procedere con le loro attività, bevendo e osservando le ballerine che si muovevano sui pali.

Luke e io raggiungemmo il bancone e ordinammo da bere, poi, come di routine, un ragazzo vestito con camicia e pantalone nero mi si avvicinò e m'invitò, con un gesto della testa a seguirlo.

Bevemmo gli alcolici molto rapidamente e lo seguimmo, facendoci largo tra la folla composta, per lo più, da uomini di ogni età.

Ci condusse nel retro del locale fin quando, da una porta, non accedemmo all'esterno, in una stradina senza uscita in cui erano presenti delle scale antincendio. Salimmo le scale e accedemmo a un lungo corridoio che terminava con una porta nera e spessa.

«Prego.» L'uomo che ci aveva silenziosamente condotti fino a lì, afferrò la maniglia e la aprì, invitandomi a passare. Prima che Luke potesse fare lo stesso, però, il suo braccio muscoloso lo bloccò, facendogli inarcare le sopracciglia.

«Garantisco io per lui.» Gli rivolsi un'occhiata dura, la mia voce intrisa di comando fu sufficiente per fargli ritornare il braccio lungo il fianco.

«Mi scusi, signorina Morrison, è la prassi.» Non risposi, semplicemente mi feci largo nella casa insieme allo spagnolo.

«Signorina Morrison, che piacere.» Un ometto minuto ci raggiunse e allargò le braccia in un gesto di benvenuto.

«Stranger.» Gli feci un cenno con il capo e lui rivolse uno sguardo a Luke che, assumendo una posa seria, aveva incrociato le braccia al petto. «Lui è Luke Martin, non c'è di che preoccuparsi.» Asserii e il ragazzo annuì, rilassando le spalle.

Con te non ho pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora