42-Now I enjoy it

10.6K 324 129
                                    

Sollevai le palpebre e le richiusi l'attimo successivo quando la luce mi investì; le riaprii totalmente soltanto quando riuscii ad abituarmi a quel chiarore.

Misi a fuoco la stanza bianca e un odore di disinfettante colpì il mio olfatto, facendomi arricciare il naso, infastidita. I ricordi sgradevoli che associavo a quel luogo, che riconobbi subito, si presentarono nella mia mente e, per un istante, mi sentii soffocare. Li scacciai via e, per distrarmi, spostai lo sguardo lungo la camera alla ricerca di qualcuno di famigliare.

Poco lontano, seduto sulla poltrona scura, situata nell'angolo vicino alla finestra, trovai mio padre addormentato; lo osservai attentamente e, nonostante non fosse troppo vicino, potei notare le occhiaie che contornavano i suoi occhi.

«Si è appena addormentato.» Una voce mi fece sobbalzare e voltai la testa di scatto.

Era lui che, appoggiato allo stipite della porta, mi osservava con quei suoi occhi scuri.

Finsi di non averlo sentito e ignorai il fatto che si stesse posizionando al lato del mio letto. Sospirai leggermente e chiusi le palpebre. Provavo un forte senso di sete, eppure avrei preferito morire disidratata piuttosto che domandargli un po' d'acqua. Mi schiarii la voce, cercando di alleviare quel fastidio, però, non ci fu alcun miglioramento.

Dylan si mosse, lo sentii armeggiare con qualcosa, tuttavia, nonostante la curiosità, tenni gli occhi serrati.

«Tieni, avrai sete.» Asserì a un tratto e io mi permisi di sbirciare, notando, dunque, il bicchiere di plastica che stringeva tra le mani. Lo osservai per un istante, quasi volessi evitare di arrendermi in quel modo, poi, spinta dal bisogno di dissetarmi, lo afferrai e, con lentezza, bevvi fino all'ultima goccia.

Mi sollevai leggermente per posare il bicchiere sul comodino, ma un forte malore alle costole mi costrinse a ritrarmi e poggiarmi nuovamente sul materasso.

Dylan si affrettò ad aiutarmi però io, quasi come se mi fossi scottata, allontanai le sue mani. Rimase interdetto ma, dopo aver annuito tra sé, si allontanò, accomodandosi sulla sedia che costeggiava il letto.

«Devi stare più attenta, non sei nel pieno delle tue forze.»

Sospirai pesantemente a quell'affermazione e digrignai i denti. «Non fingere che t'importi.» Sbottai in un sussurro a palpebre strette. «Se cerchi di scusarti per essere stato uno stronzo bastardo, sappi che i tuoi tentativi saranno vani. Il sol vederti m'irrita, quindi, esci da questa fottuta stanza e sparisci dalla mia vita, perché, non appena sarò fuori di qui, sarai il mio bersaglio preferito.» Lo minacciai, mantenendo un tono di voce cupo e serio.

Non potevo dimenticare quello che mi aveva fatto.

Non potevo dimenticare la sua pistola puntata contro il mio volto, con il dito vicino al grilletto.

Non potevo dimenticare le carezze che mi aveva fatto e le parole che mi aveva sussurrato, responsabili della mia caduta in quella trappola che mi aveva teso.

Non potevo dimenticare il combaciare perfetto dei nostri corpi.

Non potevo dimenticare nemmeno i sentimenti che provavo nei suoi confronti, eppure, per il mio bene li avrei soffocati, sperando che, con il passare del tempo, sarebbero scomparsi, lasciandomi tornare a essere la solita Alexandra, quella fredda e impassibile agli occhi degli altri, ma fragile dentro.

Mi vergognai per le debolezze che avevo fatto guardare ai suoi occhi attenti, le stesse che aveva usato a suo favore per vendicarsi, e per la fiducia che gli avevo dato, troppo cieca per scostare la maschera che aveva indossato e guardare il suo viso.

«Non fare così... dovevo farlo per la mia famiglia!» Mi spiegò, posando le mani sul lenzuolo bianco.

«Smettila!» Mi alterai e aumentai il tono della voce. «Non m'interessa nulla di quello che hai da dirmi.»

Con te non ho pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora