11-Kayla

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Mi rigirai nel letto e cercai di rilassarmi, ma, ogni volta tentavo di abbandonarmi al sonno, incontravo due profonde pozze marroni: le sue iridi scure. Sbuffai, mi voltai a pancia in su e fissai il soffitto stellato per ancora qualche secondo, prima di scostare le coperte e alzarmi dal letto, con l'irritazione che cresceva dentro di me.

Indossai la mia vestaglia da notte, in velluto nero, e scesi in cucina, dove presi un bicchiere in vetro, ci versai dell'acqua e la bevvi a piccoli sorsi. Posai il bicchiere e strinsi leggermente la testa tra le mani, poggiando i gomiti sul ripiano per la colazione; sospirai e chiusi gli occhi, ma li riaprii di scatto quando nella mia mente comparve l'immagine del suo fottuto ghigno.

«Fanculo, Ivanov.» Sussurrai appena, sbattendo, con esasperazione, un piede per terra.

«Ehi.» Disse qualcuno alle mie spalle, facendomi sobbalzare. Afferrai un coltello da cucina e mi voltai con il cuore che martellava ferocemente nel petto. Mi rilassai non appena scorsi il viso di una delle ragazze, che avevamo salvato da Walter e dal francese. Vidi i suoi occhi correre sull'arma che avevo in mano e mi affrettai a rimetterla al suo posto, desiderosa di cancellare il panico che le affiorò nello sguardo.

«Non volevo spaventarti, scusa.» Esclamò a disagio, dopo che ebbe lasciato un sospiro.

«Tranquilla, non è nulla.» Poggiai la mia schiena contro il ripiano di marmo. «Come mai sei sveglia alle quattro del mattino?» Chiesi, osservandola attentamente.

«Potrei farti la stessa domanda.» Rispose, e io scrollai le spalle.

«Io anniento i tuoi dubbi e tu fai lo stesso con i miei...» M'interruppi non conoscendo il suo nome.

«Kayla.» Si presentò con un sorriso che le increspava le labbra.

«Kayla.» Ripetei annuendo lievemente.

«Non riesco ad addormentarmi, troppi pensieri che intrappolano la mia mente. Tu?» Giocava con una ciocca di capelli, mentre parlava con voce bassa per non svegliare gli altri.

«Stessa ragione.» Mi accomodai su uno degli sgabelli affiancati al ripiano della colazione.

Restammo in secondo per qualche istante; fui io a parlare per prima.

«Ho notato il modo in cui ti isoli quando sei in compagnia delle altre ragazze. Non hai raccontato la tua esperienza: il modo in cui quelle belve ti hanno allontanata dalla tua famiglia e dalla tua quotidianità. Puoi considerarla una fortuna o una sfortuna, ma riesco a capire le persone, molto meglio di quanto tu creda. Quindi... perché non sei entusiasta di tornare a casa?» Domandai sospettosa.

Seguirono attimi di silenzio, che furono interrotti dal suo sospiro.

«Non mi hanno rapita; probabilmente sarebbe stato tutto più semplice se fosse andata così.» Un sorriso malinconico accarezzò i suoi lineamenti. «Sarei stata felice di tornare a casa, di poter rivedere i miei amici e la mia famiglia, tuttavia la mia vita sta andando a rotoli.» Asserì tristemente.

«Forza, sono qui per ascoltarti.» Incrociai le gambe e la invitai a parlare con un gesto della mano.

«Le persone di cui più mi fidavo mi hanno pugnalata alle spalle, provocandomi una ferita che mi sta lacerando dentro. Ho sempre pensato che, nonostante la mia vita fosse diversa dalle altre, avrei avuto, in ogni momento, qualcuno che mi avrebbe teso la mano dopo una caduta, però mi sbagliavo. Che sciocca che sono stata!» Scosse il capo e si accomodò al mio fianco. Poggiai una mano sulla sua, stupendomi del mio stesso gesto.

«Mi hanno venduta, Alexandra. Hanno calpestato la mia dignità. Forse speravano che, quegli uomini senza sentimenti, mi spedissero in un altro paese facendomi prostituire , oppure desideravano che mi uccidessero subito. Tuttavia, la cosa che mi affligge veramente è non sapere la ragione per la quale ho dovuto subire quest'inferno.» Terminò il suo amaro racconto, mentre le lacrime calde solcavano le sue gote.

Con te non ho pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora