23- Many questions, zero answers

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Trascorsi un'ora a dialogare con Katherine e, solo quando sentimmo un delizioso odore provenire dalla cucina, ci dirigemmo verso la sala da pranzo.

Tutta la rabbia che avevo provato nei confronti della bionda, dopo aver chiarito, sembrava essersi dissolta in un battito di ciglia. Ero solita portare rancore nei confronti di coloro che mi tradivano e provare un sadico senso di vendetta, ma con la Ivanov era diverso; avevo deciso di darle una seconda possibilità, per questo avevo dovuto sopprimere parte del mio carattere, che non era mai stato troppo incline al perdono.

La tavola, dotata di otto posti, era già stata allestita dalle due cameriere, che si erano sistemati ai lati della stanza, in silenzio, pronte a dare una mano dove fosse stato necessario.

«Buongiorno.» Katherine rivolse loro un sorriso che fu ricambiato senza indugi.

«Tra pochissimo sarà servito il pranzo.» Avvisò uno delle due, rivolgendosi alla padrona di casa.

Passarono pochi istanti e Dylan fece capolinea nella stanza, poggiandosi sullo stipite della porta e osservandoci con circospezione.

«Immagino abbiate risolto i vostri disguidi.» Annuimmo entrambe. «Ne sono felice.» Accennò un lieve sorriso, poi divenne nuovamente serio.

Non prestai attenzione e ciò che disse Katherine, poiché troppo concentrata a fissare il torace nudo che metteva in mostra i suoi addominali.

«... vero Alexandra?»

Uscii dal mio stato di trance grazie alla voce della mia amica, nonché sorella dell'uomo sul quale stavo facendo pensieri poco casti.

«Non ho capito, potresti ripetere? Ero persa tra i miei pensieri, scusa.» Abbozzai un sorrisetto di scuse e mi concentrai sul suo volto.

Lei, probabilmente, intuendo i miei pensieri, fece un mezzo ghigno e mosse la mano, come a voler scacciare una mosca.

«Oh, non importa, tranquilla.» Cinguettò maliziosamente.

Dylan aggrottò le sopracciglia, ignaro di tutto, ed io, fingendomi annoiata, sollevai gli occhi al cielo.

Il telefono di Dylan iniziò a squillare e, senza prestarci troppa attenzione, abbandonò la sala da pranzo, lasciandoci in compagnia delle due cameriere che, probabilmente, avevano ascoltato tutto con molto interesse.

Katherine prese un tovagliolo dal tavolo e lo avvicinò alla mia bocca; mi allontanai giusto in tempo.

«Ma che cosa combini?» La spinsi giocosamente, facendola ridere.

«Ti pulivo i residui di bava ai lati delle labbra.» Sollevò ripetutamente le sopracciglia dall'alto al basso, in un gesto malizioso.

«Fottiti, non so di cosa parli.» Finsi, guardandomi le unghie.

«Fingerò di crederci.» Mi fece l'occhiolino e si accomodò sulla sedia, alla destra di quella situata a capotavola; io mi sistemai di fronte.

«Potete controllare a che punto è il pranzo?» Chiese alle due cameriere.

«Certo.» Dissero e sparirono oltre la soglia di quella che immaginai fosse la cucina.

«Ale.» Sospirò, attirando la mia attenzione.

«Sì?» Mi preoccupai del suo improvviso cambio d'umore.

«Dylan non sa niente...» Ammise e io la fissai confusa, non capendo a cosa si riferisse.

«Della storia di mio padre, intendo. Ho preferito non dirglielo.» Spiegò.

La guardai con un'espressione corrucciata e le presi le mani tra le mie. «Se fossi in lui, preferirei saperlo.»

Con te non ho pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora