38- What happened after your birthday?

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Continuai a tenere la testa poggiata sulle ginocchia, con le lacrime che bagnavano le mie guance, mentre Dylan mi accarezzava la schiena. Restò in silenzio, eppure, grazie al suo tocco leggero, riuscii a percepire un po' di conforto.

Alzai lo sguardo e osservai il suo volto corrucciato in una domanda muta, a cui, forse, non ero pronta a dare una risposta sincera, però, ero convinta che glielo dovessi, dunque, mi feci coraggio.

«Fammi quella dannata domanda, Dylan.» Lo incoraggia, con tono di voce spento.

«Non so di cosa tu stia parlando.» Provò a negare, capendo che non volevo realmente parlarne, ma, dopo una mia occhiataccia e un suo sbuffo, si decise.

«Va bene!» Affermò arreso. «Cercavo solo di non farti sentire peggio.» Aggiunse.

«Dylan, ora sto bene.» Rassicurai, ma la sua espressione mi suggerì che le mie parole non erano state convincenti.

«Quindi... cosa è successo dopo il tuo compleanno, si insomma, intendo...»

Lo interruppi.

«So cosa intendi.» Buttai fuori l'aria e chiusi gli occhi, ricordando il giorno in cui mi svegliai in ospedale.

16 anni prima

Aprì gli occhi lentamente, sbattendo ripetutamente le palpebre per abituarsi alla luce. La piccola Alexandra si guardò attorno, spaesata, poi, in un attimo, tutto le ritornò in mente. Un lampo sembrò squarciare il suo cielo, tanto che strabuzzò gli occhi. Ricordò il corpo di sua madre che cadeva verso il suolo, le urla degli invitati che correvano da una parte all'altra e gli spari che si disperdevano ripetutamente nell'aria. Rammentò ogni cosa e, subito, una strana sensazione prese ad attanagliarle il petto; le macchine attaccate al suo corpicino iniziarono a suonare e dei medici si precipitarono nella stanza, pronti a intervenire.

Era stato quello il primo attacco di panico che Alexandra avesse mai avuto e le suscitò tanta paura: sentì il fiato mancargli, la gola bruciò, la testa le girò, il cuore accelerò il suo battito e le immagini si fecero sempre più sfocate.

Mentre i medici si davano da fare per calmarla, si abbandonò sul guanciale, esausta, sperando che quello fosse soltanto un brutto sogno e che, al suo risveglio, avrebbe trovato sua madre di fianco a lei, intenta a porgerle un bicchiere d'acqua e a consolarla, raccontandole qualche fiaba.

***

Riaprì gli occhi dopo due ore, mentre una giovane ragazza, che immaginò essere un'infermiera, le stava cambiando la flebo. La donna si voltò e, accortasi degli occhioni di Alexandra che la fissavano intensamente, esibì un sorriso dolce. La bambina, dal canto suo, rimase interdetta e provò a parlare, tuttavia la gola arida le impedì di articolare qualsiasi parola. L'infermiera, notando il disagio della piccola, la aiutò a ingerire un po' d'acqua.

«Dov'è la mia mamma?» Domandò subito, senza degnarla neanche di un saluto.

Clarissa, così si chiamava, ci pensò un attimo, valutando cosa dire, con lo scopo di non fare agitare la bambina. Alla fine scelse una bugia, sentendosi, però, tremendamente in colpa.

«Sta bene, i medici la stanno visitando... è tutto okay.» Le disse. «Puoi farmi una promessa, Alexandra?» Le domandò successivamente e la bambina annuì, anche se restia.

«Mi devi giurare che rimarrai qui senza agitarti troppo. Prima tuo padre si è spaventato moltissimo.»

Alexandra sembrò illuminarsi alla parola "papà".

«Posso vedere papà?» Chiese guardandola con i suoi occhi scuri.

«Mi spiace, Alexandra, ma ora i dottori ti devono visitare e, se farai la brava, sono sicura che lo faranno entrare.» Spiegò Clarissa, mantenendo un tono di voce soffice.

Con te non ho pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora