29-We know who attacked us

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«No, cara, mi sono confusa, perdonami. Tutta colpa dell'età!» Mi mostrò un sorriso tirato, per allentare la tensione.

«Non si preoccupi, comprendo perfettamente.» Finsi di credere alle sue parole e, con la coda dell'occhio, spiai l'espressione di mio fratello che, con lo sguardo rivolto verso Mathilde, parve fare un respiro di sollievo.

Come può pensare che abbia ritenuto vere le parole di quella donna? Mi chiesi, alzando mentalmente gli occhi al cielo. Persino un bambino avrebbe capito che quelle di Mathilde erano solo menzogne.

«Per favore Alexandra, dammi del tu, altrimenti mi sento più grande di quello che sono già.» Affermò gentilmente, continuando a mostrare un sorriso, questa volta più veritiero.

Non amavo particolarmente le persone troppo solari, essendo io stessa riservata e poco predisposta a mostrare i miei sentimenti, anche in quel caso, tutta la felicità che emanava, mi parve eccessiva.

Salutai mio fratello, la governante e portai via Kate, trascinandola su per le scale. Aprii la porta della stanza in cui c'eravamo sistemati Dylan e io, e una piacevole visuale mi comparve davanti agli occhi. Il russo era steso sul letto con un libro tra le mani e il busto nudo; la visione mi sembrò paradisiaca. Spostò con pigrizia lo sguardo dalle pagine bianche e lo puntò su di noi. Mi rivolse un sorriso ammiccante e io sollevai gli occhi al cielo, fingendomi disinteressata, però, poi, lasciai che il mio sguardo percorresse tutto il suo corpo, avida di accoglierne ogni particolare.

Lui parve apprezzare la sfacciataggine, tanto che posò il libro di lato e con lo sguardo m'invitò ad avvicinarmi.

Qualcuno interruppe il nostro gioco a luci rosse, schiarendosi la voce, e, solo in quell'istante, ricordai che al mio fianco c'era anche la mia amica.

«È incredibile, chiunque riuscirebbe a sentire la tensione sessuale che c'è tra voi due! Siete delle cazzo di bombe ad orologeria.» Commentò con entusiasmo.

«Katherine.» La riprese suo fratello, mal celando un ghigno divertito.

«È la verità.» Disse decisa, muovendo la mano come se stese scacciando un insetto.

«Io sto leggendo, comunque.» Dylan ci stava indirettamente invitando a uscire, ma, intenzionata ad infastidirlo, gli risposi ammiccante.

«Continua pure, noi saremo silenziose.»

Si avvicinò a me, restando ancora sul letto e si accostò al mio orecchio.

«Tu non sei mai silenziosa, ragazzina.» Mi provocò, riferendosi alla notte trascorsa insieme.

«Le donne rumorose piacciono sempre. Mi sbaglio, Ivanov?»

«No, non ti sbagli.» Catturò il mio labbro inferiore tra i suoi denti e lo tirò con prepotenza, causandomi un leggero dolore.

«Va bene, io tolgo il disturbo.» Annunciò Katherine, sopprimendo le risa.

Nessuno di noi si preoccupò molto delle parole pronunciate dalla bionda, però, non appena si chiuse la porta alle spalle, le mani di Dylan si spostarono sui miei glutei e mi diedero la spinta necessaria per cadergli a dosso.

«Siamo rimasti da soli.» Mi rivelò, come se non l'avessi notato.

«Uhm uhm.» Annuii.

La sua mano grande corse a posarsi sulla mia guancia; le sue dita affusolate mi accarezzarono delicatamente, scendendo sempre più in basso, fino a tastare le mie labbra carnose.

«Mi piacciono le tue labbra.» Asserì con voce roca e arricchita dal desiderio.

«Perché non le stai baciando, se ti piacciono tanto?» Domandai furbamente. Accolse molto presto la mia provocazione e le sue labbra si posarono sulle mie.

Il nostro fu un gioco lento: all'inizio fu concesso soltanto alle nostre bocche di incontrarsi e assaggiarsi, poi, presi da un impeto più passionale, colmo di voracità, concedemmo il permesso alle nostre lingue di accarezzarsi tra loro.

Cercammo di resistere a lungo, successivamente, senza fiato, fummo costretti ad allontanarci. Posò la sua fronte sulla mia e con la mano accarezzò la mia cute. Io, invece, tracciai con il pollice il profilo del suo viso e, con lentezza, accarezzai le sue guance arrossate. Ci scambiammo un ultimo bacio e successivamente ci stendemmo sul letto, in completo silenzio.

La sua testa era posata sul mio seno; tracciava cerchi immaginari sul mio ventre, con l'estremità delle dita, donandomi un senso di pace e tranquillità.

Tuttavia, il mio cervello prese a ragionare sugli eventi che erano accaduti poco prima. Avvolta dal tocco di Dylan, iniziai a formulare tante, forse troppe, ipotesi. La situazione stava diventando inverosimile: inizialmente si erano verificati i due attacchi e poi c'era stata quell'improvvisa partenza, dalla quale si allungava un ramo di fitte domande. Conoscevo a memoria tutte le proprietà della mia famiglia, avevo informatori ovunque, riuscivo a superare persino l'influenza che aveva mio padre sugli altri, eppure non avevo mai sentito parlare della casa al mare in cui ci trovavamo. Mio fratello continuava a tacere, rifiutandosi di soddisfare i dubbi a cui, ero sicura, potesse dare una risposta, infine, c'era statala comparsa della misteriosa Mathilde, una donna che aveva affermato di conoscermi, ma che ero convinta di non aver mai visto.

Quegli avvenimenti puzzavano di marcio e io ero determinata a scoprire cosa celassero i miei fratelli.

Indagherò partendo da Mathilde. Pensai che fosse la scelta migliore, in quanto quella donna, rispetto agli altri, sarebbe stata più facile da manovrare.

Ero pronta a tutto, pur di scoprire la verità.

«A cosa stai pensando? Ti vedo distratta.» Commentò Dylan.

«A nulla d'importante.» Provai a mentire, ottenendo da parte sua un'occhiata truce.

«Voglio scoprire cosa mi tiene nascosto la mia famiglia.» Ammisi poco dopo, perdendomi nelle sue pozze scure.

«Certe volte è meglio rimanere nell'ignoto, ragazzina.» Asserì con serietà, interrompendo per qualche istante il movimento della mano. «Se ti stanno mentendo, magari è perché vogliono tenerti al sicuro.» Disse, per poi riprendere ad accarezzarmi il ventre.

«Se c'è una cosa che non tollero, Dylan, sono i segreti. Per quanto possa far male, secondo me la realtà dei fatti va detta sempre.» Esposi le mie idee, fissando il soffitto.

Non disse più niente: assunse semplicemente una strana espressione. Non ci feci caso, avevo fin troppi problemi per la mente, per pensare anche a quello.

Il tintinnio del mio cellulare interruppe il momento d'intimità. Lessi il messaggio di Kate, in cui ci avvertiva che il pranzo era in tavola. Avvisai Dylan e scendemmo le scale per arrivare nella sala da pranzo.

Mi accomodai su una delle sedie, accanto al bruno, mentre Caleb e Katherine, si sistemarono di fronte.

Cominciammo a pranzare, chiacchierando tra noi. Preferii mostrarmi serena agli occhi del biondo, per non farlo insospettire.

«Tu e mia sorella state insieme, dunque?» Chiese Dylan.

«Dylan, ma ti sembra il caso!» Strillò imbarazzata la mia amica.

«Sì, stiamo insieme.» Rispose mio fratello, mentre fissavo sconcertata la diretta interessata.

«Non guardarmi così! Io ho provato ad avvertirti questa mattina, ma tu avevi la testa fra le nuvole.» Alzò le mani in aria, difendendosi.

«Questa volta ti perdono.» Le puntai un dito contro, fingendo un'espressione minacciosa.

Cadde il silenzio, fino a che il mio telefono squillò nuovamente. Lo tirai fuori dalla tasca e, non appena lessi il nome di mio padre, pigiai il dito sul tasto verde.

«Pronto?»

«Sappiamo chi ci ha attaccati.» Andò dritto al punto, attirando l'attenzione di tutti noi.

Con te non ho pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora