Aprii gli occhi lentamente, cercando di abituarmi alla luce che mi circondava. Non appena la mia vista fu a fuoco mi guardai intorno spaesata, ma mi rilassai quando riconobbi la mia stanza.
Confusa, cercai di ricordare gli avvenimenti della sera precedente, che, con lentezza, m'investirono come un fiume durante la piena. Aggrottai le sopracciglia quando avvertii un dolore acuto invadermi le tempie; cercai di portarci le mani sopra per massaggiarle, in un tentativo patetico di far cessare il dolore, tuttavia non appena mossi il braccio sinistro, un crampo mi ricordò del proiettile che mi aveva ferita.
Vidi la fascia bianca coprirmi con precisione il punto dove il bastardo mi aveva sparato, non era nulla di troppo grave, quindi sarei presto ritornata come nuova.
Sentii alcuni rumori provenire dal bagno e, dopo aver sussultato, mi preparai alle evenienze, tirando fuori la pistola che, da qualche tempo, era nascosta nel cassetto a doppio fondo del mio comodino. Rimossi la sicura e puntai l'oggetto verso la porta del bagno, pronta a premere il grilletto.
Mio fratello uscì dal bagno e balzò all'indietro, quando si accorse dell'arma che gli avevo puntato contro, la abbassai subito, la posai sul comodino e ridacchiai vedendo la sua espressione scossa.
«Che c'è?» Domandò, quasi offeso dalle mie risa.
«Mi conosci da una vita intera, Ian. Sai che per ogni minimo rumore scatto in allerta, ti sorprendi perché ti ho puntato contro una pistola? Avanti fratellone, non essere ridicolo!» Dissi, facendolo sbuffare e alzare gli occhi al cielo.
«Non mi aspettavo fossi già sveglia, tutto qui.» Asserì diventando serio.
«Che ore sono?» Domandai perplessa.
«Sono le quattro di mattina, perché?» Chiese, come se nulla fosse.
«Cazzo, la gara!» Esclamai alzandomi dal letto di fretta e furia, ignorando le fitte al braccio.
«Non provare a uscire da questa stanza! Anthony è stato avvisato, sa che non gareggerai.» Annunciò sedendosi sul bordo del mio letto.
«Ma che cazzo! Io dovevo gareggiare stanotte, merda!» Sbattei un pugno contro il muro, imprecando tra i denti.
«Ma che ti prende? È solo una stupidissima gara, tornerai in pista tra due settimane, secondo il parere del medico, ma sappiamo entrambi che entro domani sarai di nuovo su quella stupidissima moto.» Predisse sbuffando. Anche prima, pensai ridacchiando.
«Quanto mi conosce bene, il mio fratellone!» Ghignai soddisfatta, anche se ero già pronta a sentire la sua ramanzina.
«Ma è possibile che tu sia una persona altamente irresponsabile...» iniziò il suo solito monologo, ma lo ignorai.
Mi sedetti sul letto e poggiai la schiena sui cuscini, ripensando al giorno prima. Una domanda mi sorse spontanea.
«Dove sono le ragazze che avete portato qui?» Domandai interrompendolo.
«Non hai ascoltato niente di quello che stavo dicendo, vero?» Scosse il capo mostrandomi tutta la sua esasperazione.
«Non è già ovvia la risposta?» Chiesi alzando le spalle.
«Ah, povero me!» Sussurrò sbattendosi una mano sulla fronte.
«Allora dove sono le ragazze?» Ridomandai, leggermente spazientita.
«Papà e Caleb le stavano interrogando» Controllò l'ora sul Rolex che portava al polso e continuò «ma dovrebbero aver finito, quindi tra qualche minuto verranno qui. Papà era adirato, tuttavia i tuoi magnifici fratelli hanno tentato di farlo ragionare e ti hanno difesa.»
Alzai gli occhi al cielo, ogni volta sempre la stessa storia; io che facevo qualcosa che a lui non andava a genio, mi rimproverava, io me ne fottevo e giungevano le solite litigate, dove vista la nostra testardaggine, finivamo sempre a sbraitarci contro senza darci per vinti.
Ritornai con i piedi per terra non appena sentimmo la serratura della porta scattare. Voltai lo sguardo verso di essa, vidi mio padre con le braccia incrociate e un alone di rabbia che lo circondava, e poi Caleb, che sorrideva leggermente, pronto a godersi il dibattito che sicuramente avrebbe avuto luogo.
«Come stai, sorellina?» Domandò Caleb, venendosi a stendere di fianco a me.
«Alla grande, lo sai che una semplice pallottola non è in grado di stendermi!» Ribattei, per poi lasciargli un bacio sulla guancia.
«Come no. Arriverà il giorno in cui quella fottuta pallottola colpirà il tuo cuore, vista la tua incoscienza, e allora vorrò vedere come farai a cavartela.» Sbottò Adam.
«Sempre i tuoi soliti discorsi; cambia repertorio, mi annoi.» Sorrisi beffarda, guadagnandomi un'occhiataccia da mio padre e da Ian, al contrario Caleb se la rideva silenziosamente.
«Dio Alexandra! Perché non riesci a prendere la tua vita seriamente? Questo non è un gioco, qui rischi seriamente di morire, e tu che fai? Niente, perché a te non importa niente. Lei non avrebbe voluto questo, dannazione!» Pronunciò tra la rabbia.
«Peccato che lei non sia qui.» Sorrisi malinconica, per poi alzarmi dal letto e avvicinarmi alla porta. «Vado a parlare con le ragazze, vediamo se riesco a far uscire qualche nome che finirà sulla mia lista nera.» Misi su un ghigno e abbandonai la stanza, dove anche l'aria stava iniziando a non bastarmi.
«Dove sono le ragazze?» Domandai a uno degli uomini di mio padre.
«Sono nella stanza al secondo piano, signorina.»
Feci un cenno con il capo e lo superai, raggiungendo le scale di marmo. Salii molto velocemente e raggiunsi la porta della stanza in cui avrebbero dovuto trovarsi.
Bussai per avvertirle della mia presenza, e senza aggiungere altro, aprii la porta. Mi guardarono preoccupate, ma sorrisi leggermente tentando di rassicurarle.
«Ehi.» Dissi subito, cercando di essere abbastanza cordiale.
«Ciao.» Mi risposero alcune di loro, anche se incerte.
«È un piacere conoscervi, io sono Alexandra.» Annunciai, ma non sembrarono sorprese.
«Sappiamo chi sei, tuo fratello Caleb ci ha detto che è grazie a te se ora siamo qui.» M'informò una ragazza dagli occhi chiari, con tono dolce.
«Bene, allora possiamo saltare i convenevoli. Ho anch'io i miei scheletri nell'armadio, ma di tutte le colpe che mi porto dietro, vi posso assicurare che non ho mai venduto un singolo essere umano, ed è proprio per questo che vi ho salvate. Non starò qui a dirvi tutto quello che ha portato questa mia azione, ma so che voglio riportarvi a casa. Ho bisogno soltanto di un favore: voglio tutti i nomi delle persone che stavano per vendere delle donne innocenti a dei porci. Perché sì, è questo che vi sarebbe aspettato. Prima di voi ci sarebbero potute essere anche delle altre, che probabilmente non sono state così fortunate da incontrare me. Per questo ho bisogno che vi sforziate di ricordare, che scaviate tra i brutti ricordi che quegli uomini vi hanno procurato, perché quella gente non merita di vivere su questo pianeta.»
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Con te non ho paura
ChickLit{Completa} Alexandra Morrison è acida, testarda e diffidente nei confronti del mondo esterno. Figlia del boss mafioso più potente d'America, con un passato difficile alle spalle, colma di sensi di colpa che, pian piano, la stanno facendo affogare. ...