Presto!

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Fermò la propria in prossimità della motoslitta di Mary: il veicolo stava in una posizione difficile da spiegare, i cingoli in alto, il muso quasi conficcato nella neve. Si guardò in giro cercando invano di individuare la ragazza nel ventaglio di luce del suo faro.

Prima di lasciarsi prendere dal panico, cercò di indovinare la dinamica e la traiettoria, in base alla direzione da cui erano arrivati e la posizione del mezzo: guardò dalla parte opposta e vide una tuta da neve fucsia, immobile ... Presto! Si disse, correndo in quella direzione, contrastando la resistenza della neve in cui sprofondava.
Colse alcuni movimenti a l'aiutò a girarsi:
"Cos'è successo? Stai bene?" le chiese temendo di muoverla troppo, poteva avere qualche trauma, fratture, ...
"Merda! Mi ha disarcionato!" disse lei seccata, alzandosi in piedi.
Lui scoppiò in una fragorosa risata: "Non è mica un cavallo!", senza riuscire a smettere: lei non capì e forse lui non voleva ammetterlo a sé stesso, che non era tanto divertito da quell'affermazione e dalla parolaccia (non la credeva capace di tanto!), quanto sollevato che fosse ferita solo nell'orgoglio, che fosse salva! Per un attimo aveva temuto il peggio!
"Già, ridi pure, prendimi in giro, se ti fa sentire tanto bravo! Intanto io continuo a piedi, non ci salgo più su quel trabiccolo!"

Era tanto furiosa con lui, che la derideva, quanto con quel mezzo rumoroso, che poco si lasciava guidare nella neve soffice! E dire che doveva essere fatto per quello!
Iniziò a togliere i medicinali dal baule, quando lui la fermò.
"Che stai facendo? Dove pensi di andare?"
"Vado a piedi! Quel coso non fa per me! Gira dove vuole e non si lascia comandare!" Replicò decisa!
"Tu non vai da nessuna parte a piedi!" tuonò lui, piantandole gli occhi addosso e le mani sulle spalle.
Le uscì un gemito dalla bocca, mentre cercò di liberare la spalla sinistra dalla presa: lui la lasciò subito, sorpreso di quel che lesse nei suoi occhi. Nella poca luce riuscì a scorgervi paura, anzi no, terrore, misto a odio, circondato da rassegnazione.

Non credeva di essere stato tanto duro, ma non potè fare a meno di sentirsi in colpa.
Lei abbassò lo sguardo, evitava di incrociare il suo: "E saresti tu ad impedirmelo?" continuò acida.
Lui sospirò, cercando di riprendere la calma: mai come ora era necessaria un'intesa.
"Senti, ho garantito io per te, ho assicurato al capo della protezione civile che ti avrei condotta sana e salva all'hotel! Se ti lasciassi andare ora ... non conosci la strada, i burroni, al buio potresti ... i lupi, sono spaventati dal rumore di questi cosi, ma nel silenzio?! Io ... non posso lasciarti andare! Lo capisci?"
Lei tenne gli occhi bassi, fece un cenno appena percettibile col capo, ma continuò a non guardarlo.
"Mi ... mi dispiace se ho riso in quel modo ... non volevo prendermi gioco di te ... sul serio ... un attimo prima ti credevo ... e poi ... ".

Non riusciva a finire le frasi, non riusciva a digerire gli stati d'animo che si erano alternati nel giro di brevi attimi dentro di sé. Non riusciva ad accettare di essersi preoccupato delle sorti di una che era poco più di una sconosciuta, di averla ferita e offesa, in un modo che poteva immaginare, di averle suscitato anche di peggio, terrore forse, solo avvicinandosi e alzando la voce.

Non era una donnicciola dalle lacrime facili, questo lo aveva capito! Sembrava una donna così forte, in certi momenti, testarda e risoluta, ma così fragile in altri, come una bambola di cristallo che da un momento all'altro può frantumarsi in mille pezzi, per un tocco sbagliato, ricca di sfacettature e riflessi. Dopo il loro arrivo all'hotel l'avrebbe tenuta nuovamente a distanza! Lo confondeva, non riusciva ad avere una visione obiettiva su di lei.

"Cosa intendevi quando dicevi che non si lascia comandare?"
"Da quando ci siamo addentrati nel bosco, non riesco a governarla, tira a destra e per farla girare devo forzare verso sinistra!"
Girò la sua motoslitta, in modo che il faro puntasse verso l'altra: notò un ramo, incastrato sotto il manubrio, che ne ostacolava la corsa. "Ecco il colpevole!" dichiarò, pensando che finalmente era tornata a parlargli, anche se il suo tono pareva distaccato e impersonale.
Con fatica rimisero in carreggiata il veicolo di Mary: lui notò che lei non riusciva a far forza con il braccio sinistro: "Dov'è che ti fa male?"
"Come?"
"È la spalla sinistra, vero?"
Lei lo guardò stranita. "Su, avanti, non occorre che fingi di star bene. Fammi dare un'occhiata." Le tirò giù la cerniera e infilò una mano a fianco del collo, sopra la maglia. "Cosa credi di fa ... ahi!" disse lei ritraendosi e togliendo la sua mano.
"Non essere maliziosa! Hai una brutta contrattura, posso farti stare meglio, ma solo se collabori! Fidati di me!"
Nella sua testa sentì Sam cantarle i versi di una delle sue canzoni preferite, Bad Liar, degli Imagine Dragons, 'Trust me, darlin', trust me darlin' '. Gli fece un cenno affermativo col capo. 'Sam, questa me la paghi!'
"Allora, tieniti coperta la gola con la sciarpa, usando la destra, stai il più possibile rilassata" Lui si posizionò alle sue spalle 'Pare facile!' pensò lei.
"Ok, ora fai un respiro profondo e trattieni il fiato - la sua mano si portò nuovamente sotto la giacca; attraverso la maglia ne avvertiva il calore, la forza, il tocco ... gentile? - ora butta fuori l'aria lentamente. Puoi piangere o urlare se ti fa male, non ti prenderò in giro, fidati di me!" 'Trust me, darlin', trust me darlin' ', ancora Sam!
Ma stavolta il dolore si faceva sempre più forte, mano a mano che lui premeva col dito sui suoi muscoli contratti. Piangere? Urlare? Manco morta! Eppure strinse gli occhi, chiusi, che si lasciarono sfuggire qualche goccia calda sulla guancia gelata ... 'Non devo piangere!'. Riprendese fiato. "Sei pronta per rifarlo?" Iniziò a premere nuovamente, prima ancora che lei rispondesse, e di nuovo quel dolore intenso. Ripetè una terza volta quella tortura che pareva non portare a nulla, ma prima ancora che lei potesse parlare, lui l'anticipò: "Cerca di stare rilassata, muovi il braccio avanti e indietro, con cautela, ora allontana il gomito dal corpo". Mentre parlava, lui aveva tolto la mano da sotto la sua giacca e con l'altra accompagnava il braccio in lenti e cauti movimenti, di breve escursione, nelle varie direzioni.
"Come va ora?". Mary, stupita di riuscire a muovere con minimo dolore una spalla che credeva lussata, nella più rosea delle sue previsioni, dovette suo malgrado ammettere "Meglio, grazie! Dove hai imparato ..." "Una delle mie tante storie ... Era una massaggiatrice eccezionale! Era capace di fare certe cose tra le lenzuola! Ma è una lunga storia e noi dobbiamo fare presto!" Strizzò l'occhio a Mary, che si sentì arrossire violentemente, nonostante il freddo.

Ripresero il loro viaggio: sembrava infinito. Il vento urlava tra gli alberi, la neve sferzava i pochi centimetri di pelle non coperti dagli spessi abiti, i motori rombavano col loro suono insistente. Mary sentiva il freddo insinuarsi dentro gli scarponi, dalla suola, tra le dita delle mani sotto i guanti, la visiera pareva una maschera di ghiaccio, il naso gocciolava, le labbra si stavano screpolando. Stava cercando di resistere con tutte le sue forze.

Mark si fermò in uno spiazzo e lei gli si accostò: "Che succede?" gli chiese, quando spensero i motori. "Siamo arrivati!" Le indicò una zona scura: a fatica lei riconobbe il muro del garage dell'hotel. Con le luci spente e la visibilità ridotta non aveva colto la sagoma della costruzione e ancora ora le pareva un miraggio! Erano salvi! Erano arrivati! Ora altri avevano bisogno di loro ... Presto!

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