La storia di Ryan

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I vetri erano appannati e percorsi dal bagliore della luna. Erano appena le sei del pomeriggio e già il cielo era scuro. Il calorifero emanava un bollore quasi insopportabile. Ines si fece spazio sul divano, tirò fuori il suo taccuino.
Un ragazzo non molto alto e magro a tal punto che si riusciva a contare le sue costole una ad una, uscì dal bagno della saletta ricreativa, sfoggiava una canottiera bianca ed era intento ad allacciarsi la cintura. Dietro di lui, dopo qualche minuto, uscì una giovane bionda con i capelli mal messi e una camicia da uomo che copriva a malapena le gambe muscolose, pallide e piene di lividi. Lui le gettò addosso uno sguardo complice, lei si morse le labbra, poi rise istericamente e sospirò tirandosi una ciocca di capelli. Non serviva essere psicologi per intuire cosa fosse successo in quel bagno.
Ines osservò il ragazzo, lui si indispettì. Le si avvicinò:
«Sì?»
Lei deglutì:
«Niente, vi osservavo. Stavo facendo ciò che devo fare» ebbe il coraggio di rispondere, mantenendo un tono impassibile ma non arrogante.
«Oh.. e così è questo che dovete fare eh? I figli di papà che osservano gli animali da circo. Vi pagano bene per questo?»
Ines non ebbe il tempo di proferir parola che questo incalzò:
«E cosa posso fare per compiacerti? Perché è da quando siete arrivati che già due o tre di voi mi stanno addosso per tirarmi fuori dalla bocca cose che per loro sono un punto in più per il prossimo esame e per me sono solo ferite ed è come se me le stessero riaprendo con le unghie, strappandomi i punti, estraendomi le viscere!»
Ines fece una faccia spaventata, una smorfia di disgusto e, insieme, di senso di colpa. Il ragazzo si guardò intorno, come per assicurarsi che nessuno lo stesse sentendo al di fuori della sua interlocutrice. Dopo la pausa di introspezione, riprese:
«Vuoi che ti racconti di come mio padre abusava di me ripetutamente? Di come mi sono sentito tutta la vita? Avevo paura a tornare a casa, la scuola mi faceva schifo, ma alcune volte rimanevo lì fino a notte fonda, seduto sulle scale d'ingresso, sotto il sole cuocente, o sotto la neve, indistintamente. Mia madre era un'ingenua, una debole. Sapeva solo preoccuparsi dei pericoli che potevo trovare fuori. Non si domandava mai quanto pericolosa fosse, invece, la persona che aveva sposato. Non immaginava che proprio lui fosse il primo a farmi del male e be' io mi vergognavo troppo per confessarle che i miei buchi- quelli di un ragazzino di dieci anni, capisci?!- soddisfacevano mio padre più dei suoi. Così ogni volta che mi trattenevo fuori, che tentavo di scappare, chiamavano la polizia e mi riportavano in quell'inferno e così, e così fino a quando non ho avuto tredici anni».
Si fermò, tirò in su col naso e cercò di ricacciare indietro le lacrime. Gli occhi di Ines erano pieni di afflizione, mentre Mia la tirava per un braccio per andare a finire di compilare un puzzle.
«A tredici anni» il ragazzo si impose di proseguire con la voce deformata dal pianto «sono tornato a casa e ho trovato mia madre ferita a morte da lui. Mi sono gettato sopra di lei, che mi prese la testa tra le mani e mi seppe solo dire fievolmente: "Mi dispiace, non potevo immaginare ... sarei dovuta essere una madre migliore. Perché non me l'hai mai detto?". Credo che quella sera fosse venuto a galla tutto, mia madre l'aveva sicuramente aggredito, scoperta la cosa. Esalò l'ultimo respiro nel momento in cui mio padre uscì dal bagno, probabilmente era andato a cercare di pulirsi dal sangue, se io non fossi tornato prima quella sera, lui si sarebbe disfatto in qualche modo del cadavere e forse, subito dopo, anche di me. Non ci vidi più, presi la prima mazza da baseball che trovai vicino al camino e lo colpii con tutta la violenza che avevo in corpo e che avevo represso in quegli anni. Il risultato è stato che il tribunale ha accusato me di duplice omicidio. Un assassino, ecco ciò che ero. Ero sempre stato per tutti un ragazzetto difficile io, mentre i miei erano persone tranquille e rispettabili.
"La vita ha serbato a due angeli di partorire il demonio" dicevano le persone del quartiere. Quante volte ho sentito questa frase! Certo, ho ucciso mio padre e non me ne pento. Ma mia madre non l'avrei mai toccata, addirittura le ho nascosto le violenze che subivo per non darle il minimo dispiacere. Adesso sto facendo sesso ossessivamente per esorcizzare ciò che è stato. Per sentirmi uomo nonostante l'abbia preso per metà della vita nel culo». Chiuse gli occhi e contrasse il viso in una smorfia. Ines era in piedi davanti a lui con la faccia scioccata. Il blocco che sfoggiava e sul quale aveva creduto di prendere con fredda professionalità i suoi appunti, le era caduto di mano. Mia ormai si era allontanata. Il ragazzo la prese per le spalle con violenza:
«Guardami! Guarda dove sono costretto a stare! Guarda come sono ridotto! Sono insieme a persone disabili, malate! Ma i miei avevano messo al mondo un figlio sano! E lo hanno rovinato... Per sempre!» continuava a stringerla e ad urlare.
Il ragazzo biondo schedato col codice 5302C entrò nella stanza in quel momento e si precipitò da loro. Lo tirò via da lei:
«Ryan! Lasciala stare!», poi cercò di calmare l'amico ancora preso dall'agitazione. Il ragazzo moro si accasciò a terra, sembrava uno scimmiotto impaurito, rannicchiato su se stesso con le braccia attorcigliate sulla nuca, l'altro si chinò anch'esso e lo strinse. Poi alzò gli occhi azzurri su Ines, ma non le disse nulla. Lei avrebbe voluto spiegare che non era sua intenzione far venire una crisi a quel ragazzo, ma non parlò e uscì di fretta dalla stanza.

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