La confessione

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<<Ti hanno chiesto di spronarmi a confessare?>> chiese Ian rassegnato
<<No!>> mentì prontamente l'altro
<<Te lo porti sempre dietro>> indicò con la testa il registratore che Ashton teneva nascosto sotto il tavolo, sulle gambe.
<<Mio padre crede che non dovrei>> rivelò il registratore dal nascondiglio e lo posò sul tavolo <<obbligarti a farlo>>.
Ian si lasciò sfuggire un sorriso sprezzante. Gli faceva male che ci fosse da disquisire su una cosa che riguardava lui, il suo passato, la sua stessa vita. Che ci fossero opinioni discordanti su ciò che era obiettivo:
<<Tu cosa pensi?>> volle sapere.
<<Penso che mio padre non sia obiettivo quando si affeziona alle persone e credo si sia affezionato a te più del consentito>>.
Ian abbassò la testa, non rispose nulla. Sapeva che la sua vita non valeva più di quanto valesse il voto a scuola di un ragazzo ricco. Di solito tratteneva bene le lacrime, aveva imparato a farlo negli anni, ma in questa circostanza gli riuscì male. Vide che Ashton sbuffò, si stropicciò gli occhi.
<<Non voglio farti pena>> si sbrigò, allora, ad asciugarsi le lacrime già uscite e a ricacciare indietro quelle che tentarono di evadere dalla prigione dei suoi occhi.
<<No. Lo capisco... se è vero quello che dici, la tua vita è un inferno, non per colpa tua e il bello deve ancora venire>> prese una pausa di riflessione, congiunse le mani tra loro <<Ma se non dovesse essere così... Insomma, rimuovere dal nostro cervello un frammento di vita che non vorremmo aver vissuto, è tipico, è comprensibile. Distorcere la realtà per una verità solo nostra, una verità più comoda, è del tutto lecito. Credi non sarebbe possibile? Avevi solo sei anni, avresti sopportato quella verità?>> picchiettò sul tavolo la cartella clinica di Ian, era nervoso, poi pressò di nuovo:
<<Sono passati vent'anni: cosa lo starebbe trattenendo dal raggiungerti?>>
<<Non sa ancora dove mi trovo>> Ian lasciò cadere sul tavolo la penna con cui stava compilando il test della settimana circa i progressi fatti con l'assistenza di Ashton.
<<Non cambierebbe nulla se decidessi di dire la verità>>
<<Appunto. Guardami, sono praticamente spacciato. Se anche ci fosse una sedia elettrica ad aspettarmi, potrebbe farmi paura? Ho passato la vita ad essere nient'altro che un simulacro di me stesso, a vivere un'esistenza non mia, solo perché un... mostro mi ha portato via tutto>> abbassò la testa e prese a giocherellare con le maniche della maglia già bucherellate:
<<Sono stato persino torturato i primi tempi affinché ammettessi che mi ero inventato ogni cosa e li aiutassi a trovare il corpo. Non hanno ottenuto ciò che volevano. Non confesserò qualcosa che non ho fatto>>
<<Potrebbe essere morto>> Ashton sputò un'ipotesi, cercando di assecondare le affermazioni di Ian, come gli avevano suggerito di fare, affermazioni che per lui restavano fantasie di un bimbo di sei anni che non era cresciuto.
<<Già>> Ian si convenne che era plausibile, crissò nel vuoto, si alzò:
<<Sai, hai ragione. Sono anni che mi tormento per nulla. Forse ci speravo... che lui venisse. E che portasse lei con sé. Forse aspettavo un'occasione per riscattarmi. Non ha alcun senso. Ha ragione Dimitri. Cioè, non sul fatto che sia stato io a fare quella cosa orrenda, ma sul resto...>> guardò dalle inferriate della finestra. Il traghetto con le provviste del mese si stava avvicinando alla riva. Doveva andare a ritirare la bambola di Mia, l'aveva ordinata a suo nome.
<<Ho un pacco per me da andare a prendere, ti dispiace?>> chiese, ancora mortificato per com'era andata la seduta. L'altro annuì. Osservò il suo protetto uscire. Si mordicchiò le unghie. Diede uno sguardo a quello stupido registratore: non gli sarebbe mai servito.

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