Il traghetto delle incertezze

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1974

Il mare era una distesa grigiastra e profonda sotto di loro. Ines sentiva il motore del traghetto rumoreggiare e incantarsi ogni poco. Il vento sulla pelle le carezzava il volto con un po' troppa violenza, impedendole di aprire gli occhi neri, speranzosi ma intimoriti. Strinse con le mani il parapetto. Le onde facevano oscillare tutto e il motore malandato causava un fremito a tratti più accentuato, a tratti meno.
Si tirò su la manica, si guardò il polso: la bruciatura a forma di tre dita era indelebile, probabilmente le sarebbe rimasta per sempre. Sentì caldo come fosse stata lì, come fosse stato in quel momento. Rivide, nel flashback della sua mente, le fiamme, la cenere, le urla. E Denny. Lui che arrancava, lo sguardo supplichevole su di lei, il sudore, la voce spezzata dalla tosse pronunciare le ultime parole:
«Inny! Aiutami! », poi le mani di lui che le afferrarono il polso... erano oramai due fiaccole, così come il viso, deforme, quasi irriconoscibile.
Deglutì, scosse la testa con una smorfia, scrollandosi di dosso i fardelli di un passato ancora maledettamente vicino; avvertì il calore delle lacrime sulle gote divenute d'un tratto pallide. Si ricoprì il polso tirandosi giù nervosamente la manica della felpa, quasi fino a strapparla.
Amanda, facendo svolazzare i capelli dorati tagliati a carrè, le piombò accanto con due caffè allungati:
«Offre il capitano!» annusò sfiduciata facendo scomparire il volto dentro il bicchiere di carta bianco.
«Grazie... tra quanto arriveremo?»
«Manca poco. Ho sentito dire che tra un quarto d'ora, venti minuti al massimo, saremo lì. Ines, cos'è tutta questa fretta? Hai idea di dove ci stanno portando, vero? Già domattina non ti piacerà più.»
«Lo so. Non mi piace già da ora. Prima inizia, prima finirà» ribatté sforzando un sorriso e accettando il caffè «Accidenti a quando abbiamo passato il test».
«Già. Ci hanno teso un tranello: evidente» sentenziò Amanda, poi tirò fuori dalla borsa damascata delle vecchie foto:
«Mi ha detto la zia di dartele. Non l'avevi mai vista così, vero?» sorrise.
Ines prese le foto di sua madre; erano sei: da quando era nata, fino ai dodici, tredici anni. Era su una sedia a rotelle. Spalancò gli occhi:
«Che significano queste?» la voce era un misto tra l'alterato, il deluso e il compassionevole.
«Significano che non bisogna mai demordere. Lei era nata senza speranza di camminare, questo le avevano detto, ma lei non c'ha creduto. Tua madre non si è arresa al suo destino. Queste fotografie erano rimaste a casa dei nonni, dentro un baule. Voleva che le vedessi, che le avessi. Pensava che fosse giunto il momento di fartelo sapere. E' ora, Inny, che la devi prendere ad esempio. Non sarà facile stare là, ma se ti butti giù, rialzati subito. Guarda che donna fantastica è tua madre adesso». Sua cugina la cinse in una stretta sincera. Ines singhiozzò:
«Io non l'ho salvato, lui sarebbe dovuto essere su questo traghetto con noi...».
Tornarono sotto coperta. Ashton stava giocando a carte con altri studenti.
Il sole penetrato dall'oblò era riflesso sul suo volto mascolino e bello, sebbene poco aggraziato. Le braccia muscolose appoggiate sul tavolino di plastica tremavano, così come il resto delle cose e delle persone.
La vibrazione del mezzo acquatico si fece insistente per degli interminabili minuti. Raggiunse il ragazzo a sedere. Sbirciò le carte, gli sorrise e gli accarezzò una mano. Stavano insieme da qualche anno ormai, anche se nell'ultimo periodo il rapporto aveva avuto diversi tracolli.
Buttò un'occhiata alla folla lontana di ragazzi che scendevano le scale. Degli occhi neri e buoni la fissavano dal buio di un angolo. Era lui, era lì. Emanò un gemito violento:
"Denny!". Pronunciò il suo nome come un grido soffocato, si alzò repentina per raggiungerlo; Ashton la prese per i fianchi:
«Ines! Non è Denny! Calmati!» se la mise sulle ginocchia, le scostò dalla faccia i capelli sudati. Le carte caddero a terra, sotto lo sguardo atterrito degli altri studenti.
Lei scosse la testa:
«I- io credevo ... scusami ...» gli occhi redenti e colmi di lacrime penetrarono in quelli verdi del fidanzato.
«Lo sai che non può essere lui, sai che non può essere qui. Mi dispiace amore, mi dispiace tanto» affondò il volto sui capelli mossi e scuri della ragazza e lei sentì poco dopo, vicino alle orecchie, lo schiocco di un bacio.

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