Rebecca Fisher

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Rebecca Fisher si sistemò gli occhiali da vista cat eye, il sorriso compiaciuto la diceva lunga su quanto fosse fiera di sé quel giorno. Aveva diviso i ragazzi della terza categoria in due gruppi misti e raccolto materiale a sufficienza su ogni paziente.
<<Siete pronti?>> la voce squillante e sensuale tratteneva a stento l'eccitazione <<Sono sicura che l'"esperimento" di oggi gioverà ad ognuno di voi. Cercate di non minimizzare la situazione, di non recitare, dev'essere uno sfogo, dev'essere una sensazione liberatoria, un'esperienza costruttiva. Siate voi stessi, come se tutto fosse vero. Io ce l'ho messa tutta affinché possa sembrare così. Intesi?>> la voce da saccente non era mai autoritaria, forse perché i suoi trentatre anni di età non erano molti di più di quelli dei ragazzi di cui si occupava. Si faceva chiamare Becca, il nome per intero le metteva ansia, sottintendeva il distacco, mentre lei amava la confidenza. Sembrava che non potesse fare a meno di essere amica di tutti là dentro. Tirava un colpo al cerchio e uno alla botte per non sporcare mai di fango la sua immagine. Non si sapeva mai se fosse realmente buona come appariva, ma le si voleva bene. Era inevitabile. Si scrocchiò le dita e fece una passerella tra i pazienti del primo gruppo seduti nell'aula. Ian sedeva scomposto, mal riusciva a gestire le gambe lunghe dovendo star seduto su quelle seggiole basse e scomode che toccavano di diritto ai pazienti ormai da dieci anni. Pensò che la sedia su cui era stravaccato, un tempo era perfettamente alla sua portata, era la stessa di quando aveva messo piede per la prima volta in quella stessa aula, di quello stesso edificio, di quella stessa dispersa isola. Dodici anni prima. Le sue gambe, no, non erano decisamente più le stesse. Si incupì nel pensare che aveva sprecato la vita in quel luogo, un sentimento di rabbia subentrò poi, pensando a quanto, oltretutto, sarebbe stata breva quella vita. Alzò gli occhi contornati dalle occhiaie sulla psicologa. Osservava le labbra rosse della donna muoversi perpetuamente, ma le parole non riusciva a seguirle più, si tamponò il sudore sulla fronte, le punte dei capelli erano fradice. La febbre non scendeva, era ferma ormai da giorni.
<<I vostri compagni entreranno uno alla volta, somiglieranno così tanto alla vostra persona, che la reazione sarà immediata, credetemi. Non ci sarà bisogno che io vi chiami in appello, ognuno riconoscerà l'individuo a cui tanto vorrebbe dire o fare qualcosa, il suo individuo! Si alzerà e lo affronterà!>>
Ian si fece scappare un sospiro.
<<Ian?>> chiese la dottoressa fermandosi lì davanti e socchiudendo gli occhi adombrati dalla frangetta liscia e scura.
<<Crede davvero che una cosa così funzioni? Cioè camuffare i nostri compagni negli individui che ci hanno rovinato la vita?>> rise sprezzante.
<<Non capisco Ian, avevi accettato di fare la parte del padre di Ryan, ma che ti prende?>>
<<Il padre di Ryan>> ripetè. Non sapeva se ridere o piangere, e il ripetere la parte da interpretare lo persuase ancora di più della stupidità della cosa <<Lo vede? E' ridicolo!>>
<<Non credo Ian. Sono io la psicologa qui, decido io cosa è ridicolo o meno>>
<<Vuole che superiamo le nostre paure? Concretamente? Beh, perché non va a chiamare Wagner? Fa decisamente paura a tutti qua dentro, giusto?>> si rivolse ai compagni che risero di gusto <<Vede? Una sola persona per trentacinque pazienti: una scelta sicuramente più rapida e proficua>>
<<Quando hai finito di fare il pagliaccio...>> si indispettì la Fisher
<<Senza offesa, ma l'unica pagliacciata qui è questa seduta. Personalmente credo che nessuno dei miei compagni possa emulare la persona che ha distrutto tutto ciò che amavo>> si alzò e si allontanò rinvolto nel maglione bianco e nero. La dottoressa pregò gli altri di scusarla e seguì prontamente il ragazzo:
<<Ian! Io cerco solo di fare il mio lavoro... e credo di farlo con molta più umanità di altre persone qui dentro, perciò... capisco la tua rabbia, ma non puoi prendertela con chi non lo merita. Io non lo merito>> prese fiato. Guardò il giovane nell'attesa che cambiasse idea. Nel corridoio c'erano i ragazzi dell'altro gruppo in fila, in attesa di entrare. Con i loro cappelli, parrucche, baffi e nasi finti. Ian buttò un'occhiata su quei disagiati che conciati in quel modo sembravano fenomeni da baraccone.
<<Non mi va di fare questo gioco>> si stropicciò gli occhi stanchi
<<Tu chiami le mie sedute di gruppo "giochi"?>> si stupì, visibilmente delusa.
<<Sei andata a ficcare il naso nel nostro passato? Addirittura a delineare i tratti delle persone con cui abbiamo avuto a che fare per poi copiarli, come si trattasse di costumi carnevaleschi? Questa cosa è meschina, non avresti dovuto permetterti>> si sentì offeso.
<<Oh andiamo Ian! Hai sparso il reparto di disegni! Ovunque! Non ho tirato fuori nessun volto che chiunque non conoscesse già!>> si morse le labbra, già pentita della frase <<Sto provando ad aiutarvi. Ad aiutare anche te. Hai un'idea migliore?>> chiese arrendevole
<<Sì, uscire da qui>>
<<Hai già provato ad opporti a questo luogo e non è andata bene>> tentò di farlo ragionare
<<Già, una di quelle volte non è andata bene perché tu hai fatto la spia. Grazie mille! Ti sei guadagnata la medaglia d'onore per quella soffiata?>>
<<Sai che mi è dispiaciuto, ma ero preoccupata per te! E' successo tanto tempo fa!>> cercò di giustificarsi, i vetri delle lenti non erano abbastanza spesse da nascondere gli occhi lucidi.
<<Perché non torni dentro? I tuoi compagni possono davvero aver bisogno di fare questo "gioco" come lo chiami tu>> sforzò un sorriso.
<<Scusami. Non avrei dovuto. Torniamo alla seduta>> si convinse il giovane.
Lei lo prese per un braccio non prima di aver dato un'occhiata circospetta intorno:
<<Grazie di non averlo detto>> gli fu riconoscente.
Ian chinò la testa:
<<Avrei avuto scelta?>>, era privo di astio nel porre la domanda retorica, alzò poi gli occhi sulla donna.
<<Se scoprissero che ho fatto sesso con un mio paziente...>> sussurrò mortificata
<<Avrei sicuramente una punizione più dura della tua>> rise lui.
<<Già, se la prendono sempre con te alla fine!>> lo prese in giro e si lasciò sfuggire un sorriso più ampio <<Non succederà più>> promise, questa volta seria. Gli passò una mano sulla fronte bollente. Scosse la testa preoccupata. Stravedeva per il paziente problematico che aveva davanti, dal primo giorno che l'aveva incontrato. Sarebbe stata dura non toccarlo più, ma non avrebbe più fatto niente che lo avesse messo nei guai.

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