Sindrome del cappello di paglia

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Premeva con le mani gli indumenti nell'acqua gelida della bacinella. Non riusciva a sentirle più per via del freddo. Non era riuscita a conservare i buoni per la lavatrice quella settimana. Si lasciò cadere in ginocchio, tolse le mani dall'acqua, erano rosse, quasi violacee. Sbuffò. Udì i passi di chi, come lei, aveva avuto l'idea di andare a fare il bucato a quell'ora del pomeriggio.
Ian svoltò l'angolo con il maglione bianco e nero tra le mani. La salutò con un cenno del capo con una spavalderia che nascondeva l'imbarazzo. Lei si guardò intorno: se si escludeva Mia, era la terza volta che rimaneva sola con un "Disturbia", con lui precisamente. E anziché provare paura riusciva solo a provare un piacevole disagio; si asciugò le mani intorpidite al piumino e si rassettò alla maglio i capelli. Il ragazzo si diresse verso la prima bacinella vuota, la riempì al rubinetto rugginoso incastonato tra le mura coperte di piante rampicanti. Dopo minuti di titubanza, scelse il detersivo giusto tra le cinque- sei bottiglie. Ines sorrise; lo seguì con lo sguardo. Non vi erano dubbi su quale indumento aveva intenzione di lavare. Si era posizionato a parecchi passi da lei.
«Ha un buon profumo!» gli gridò.
Ian aggrottò la fronte, solo adesso si era accorto di lei:
«Cosa?» chiese alzando anche lui il tono della voce e voltandosi verso la ragazza. Lei sorrise:
«Il tuo maglione!» indicò «Forse non dovresti lavarlo!»
Ian lasciò il maglione a terra e la raggiunse. La ragazza tentò di alzarsi in piedi, sebbene tremasse per il freddo, ma ancor più per l'emozione. Sapeva che non erano al loro posto, né questa volta né la scorsa. E lo sapeva anche lui. I suoi occhi grigi ora erano molto, molto vicini. Ines indietreggiò vacillando. Aveva la sensazione di avere una palla da tennis in mezzo alla gola.
«E poi sarei io quello pazzo?» rise lui.
L'espressione seria e pensierosa di lei, era solo il risultato della maledetta bellezza di quel giovane psicopatico, tanto incantevole da metterle sudditanza. Poi, colse il senso della frase e si abbandonò ad una risata.
«Dici?» giocò a sua volta, fingendo preoccupazione.
«Eh sì, si chiama "sindrome del maglione"»
«Cavolo... ed è grave?»
«Ti dico solo che io ho iniziato così...» confessò lui, fingendosi serio e addolorato. Lei storse la bocca in una smorfia per frenare il riso.
«Solo che la mia era "Sindrome del cappello di paglia", ma il succo è lo stesso. Sono mortificato» proseguì Ian.
«Oh cielo! E cos'è precisamente?»
«E' quando credi di essere attratto da qualcuno, ma in realtà è solo un accessorio da lui indossato che ti attrae. Io credevo di essermi innamorato di una ragazza dai capelli dorati e le labbra rosse e invece, scoprii che era il suo cappello di paglia ad avermi rubato il cuore. Quindi...insomma, credo che tu abbia avuto un bel colpo di fulmine per questo mio maglione. Ma adesso... ha anche lui bisogno di un bagno!».
Lei sforzò quel sorriso che pochi attimi prima aveva cercato di nascondere.
Quella scenetta della pazza e dello psicanalista che avevano messo in atto, non la faceva divertire più. La realtà è che lui le piaceva indipendentemente da ciò che indossava, l'attraeva con qualunque cosa avesse addosso, anzi, meglio ancora se fosse stato completamente e più semplicemente nudo.
«Ohhh... quindi tu mi stai dicendo che pensi che io sia attratta da te» ne concluse quasi offesa.
«No: ho detto dal mio maglione» la contraddisse.
«Tu hai detto "credi di essere attratta da qualcuno", sottinteso te, in questo caso» incalzò sorridendo.
Lui avrebbe voluto chiederle se era così. Abbassò gli occhi sulle labbra di lei per godere del sorriso della giovane. Erano troppo vicini. Indietreggiò. Tossì. Si ricordò che venti minuti più tardi sarebbe dovuto essere nello studio di Murray per la terapia. Si ricordò che era solo un paziente moribondo, anche se nei momenti in cui era con lei, la ragazza, inconsapevolmente, faceva in modo che lui questo lo scordasse. Non aveva il diritto di parlare con lei di certi argomenti. Si morse la lingua, poi notò il libro di Ines:
«Cosa leggi?» deviò la conversazione verso un'altra rotta
«Bukowski. Sono due raccolte in verità, "It Catches My Heart in its Hands" e "Crucifix in a Deathland". Le ha scritte in età matura, dopo i quarant'anni»
«Oh, e lo stai trovando interessante?»
«Parliamo di Bukowski» rise lei, ritenendo la risposta scontata.
«Si, lo so. Tu credi che non abbia dovuto leggere di nascosto l'unico libro di Bukowski presente al Nun Ester?»
«E' proibito eh?» strinse i denti bianchi in un sorriso. Che stupida, doveva aspettarselo «Qual'era il libro?»
«Storie di ordinaria follia».
Ines soffocò un riso. Che maiale.
«Hai capito Wagner!? E? »
«E sì, sì, mi è piaciuto. Divorato in tre giorni»
«Appunto» scosse le spalle lei, ribadendo il fatto che quell'autore non si dovesse mettere in discussione.
«Già, ma era un solo libro»
Lei lo guardò con aria interrogativa. Lui si spiegò meglio, tirando fuori un'espressione da saccente:
«Anche un orologio rotto azzecca l'ora due volte al giorno»
«Ahhhh... ok, ok: Bukowski non è un orologio rotto!» scosse il capo lasciandosi scappare un sorriso incredulo.
Lui strinse le spalle e le regalò l'ennesimo sorriso da quando erano lì. Si voltò verso il lavatoio. Sembrava preoccupato di far tardi. Lei cercò il suo sguardo e una volta trovato, si sforzò di reggere il confronto con esso:
«Bella comunque la metafora dell'orologio! Posso prestarti tutti i libri di Bukowski che ho» volle dirgli
«In cambio cosa vorresti? Psicoanalizzarmi?» chiese lui aggrottando la fronte ma non potendo fare a meno di inarcare in un sorriso l'angolo della bocca.
«Vorrei che tu mi prestassi i tuoi, di libri» rispose fiera
«Ho pochissimi libri che tu non possa anche trovare nella biblioteca del Nun Ester» volle avvertirla.
«Già, hai usato i buoni per acquistare dei libri che sono già qui. Ci sarà pure una ragione» osservò la ragazza.
«Voglio dei libri miei. Ci controllano: le liste per il corriere sono ovviamente prima supervisionate dalla Shyamalan. Mi sono dovuto accontentare, si fa per dire di Hemingway, Dickens, Kafka, Fitzgerard.... Oscar Wilde, capirai bene che non è consentito. Beh lo conosco perché ho fatto amicizia con un'infermiera: ogni sera un capitolo riassunto da lei durante l'ora di trattamento. Non volevo nessun'altra infermiera a tocchicciarmi!» rise birichino «Non troverai un Bukowski nella mia collezione, per intenderci»
«Ne sono al corrente» alzò la testa sprezzante.
«E perché allora ti interessano tanti i miei volumi?»
«Perché nei libri impeccabili e impersonali degli scaffali del Nun Ester non ci sono frasi, osservazioni e appunti ai margini delle pagine» inarcò un sopracciglio dopo aver svelato l'arcano.
«In quali occasioni hai buttato gli occhi sui miei libri?» volle sapere Ian. Si sentiva lusingato di essere stato spiato così accuratamente.
«Oh, non era difficile: viaggi sempre con un libro aperto. Faresti a meno dell'ossigeno, ma mai di un volume nel quale immergerti, credo di averti inquadrato » cercò di ghiacciarlo con un sorrisetto malizioso, tentando di farlo scendere dal piedistallo «Per favore!» lo pregò cambiando espressione facciale e inchiodandogli addosso occhi supplichevoli come quelli di una cerbiatta davanti al cacciatore.
Il ragazzo si zittì per qualche istante: guardò il suo zaino a terra, c'era dentro un romanzo di Proust, ma la sua cannula nasale e la bombola per l'ossigeno erano rimaste in camera. Ines aveva ragione. Probabilmente l'unico ossigeno di cui aveva bisogno erano quelle innumerevoli, lontane, immaginarie vite, racchiuse nelle pagine dei libri. Era quel modo astratto di viaggiare, abbandonando ogni volta, come uno spirito, il corpo imprigionato dentro quelle mura spesse e vecchie che avevano visto così tanto degenero da quando erano diventate proprietà di Wagner.
«Non mi hai ancora inquadrato alla perfezione, visto che vuoi i miei appunti per capire cosa passi tra la mente di un folle » la sminuì. Lei ignorò l'affermazione. Le cedette il libro di Bukowski:
«Ti piacerà. Nelle due raccolte emerge la maturità dell'artista che, nel momento in cui la sua vita si stava assestando, comincia a guardare il mondo e la gente attorno con aria apparentemente distaccata, ora sorniona, ora sarcastica, ora disperatamente partecipe, ben conscio che la vita avrebbe potuto riservargli forse altre compagnie, con meno ipocrisia e più verità» gli sorrise triste.
«E tu ti senti così?» un bagliore di amarezza passò nei suoi occhi grigi. La guardò come non aveva mai guardato nessun altro.
Lei deglutì:
«Ci stiamo scambiando di ruolo?» sdrammatizzò. Si pentì troppo tardi della battuta triste. Notò che lui era divenuto serio. Ian si sforzò di inabissarsi nella mente della persona che aveva di fronte: non era così soddisfatta come voleva apparire. Ines notò che il suo interlocutore attendeva ancora una risposta concreta, si anticipò:
«Beh... questa conversazione sta diventando inopportuna... credo che dovremmo andare, a proposito di orologi! Puoi, anzi, devi scriverci tutto quello che vorrai! Quando me lo restituirai, più sarà impiastricciato di scritte, più sarò contenta» le aveva già voltato le spalle. Si allontanò di qualche passo, poi si voltò indietro nuovamente:
«Alla fine ti ho impedito di lavarlo quel maglione» lo beffeggiò, convincendosi ancora una volta del fatto che nella vita, difficilmente falliva in qualcosa che voleva ottenere, anche se erano cose stupide.

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