Wagner scomparve con l'atavica superbia che lo contraddistingueva. La furia fu tale da spostare i tre corpi a cui passò accanto, il suo camice mosse una folata di vento freddo e pietrificò Ines che si irrigidì a si abbandonò ad un respiro solo quando il chirurgo fu abbastanza distante.
Rebecca guardò l'ora. Ormai la messa era quasi finita. Non riusciva ad allontanare la mente da ciò che aveva visto e da ciò che Ian per un soffio aveva schivato. Non riusciva a scindere il suo pensiero dalla sudditanza e terrore a cui Wagner l'aveva sottoposta per interminabili minuti. L'aveva schiacciata con una sguardo tale da farla sentire un lillipuziano dinnanzi ad un gigante. Stava sacrificando tutti i suoi anni migliori per stare là dentro. Aveva sempre collaborato e portato rispetto e contributo affinché il Nun Ester brillasse di gloria e questa era la ricompensa. Calpestata come una formica che ti intralcia il cammino. Le si inumidirono gli occhi. Guardò i due giovani più scioccati di lei e si ricordò del ruolo che ricopriva. Prese fiato, avrebbe voluto rassicurarli con un sorriso, ma non fu talmente brava da riuscirci:
<<Salterete la messa oggi. Perché non andiamo a prenderci un tè, vi va?>>°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
La stanza del tè profumava di un commisto di tè, tisane e biscotti al burro. Il mobilio in stile Liberty si mischiava alle più moderne pitture astratte, delle riproduzioni di alcuni Kandinsky, realizzate dai ragazzi dell'istituto e appese al muro, erano talmente tanti quadri da creare un senso di soffocamento. Ad aggiungersi a tutto questo non potevano mancare il legno sulle pareti, a creare boiserie, e drappeggi in stile orientale, tappeti persiani e cuscini tibetani messi sul pavimento come veri e propri pouff.
Guardò i polsi feriti di Ian seduto di fronte a lei, poi la Fisher che al bancone ordinava il loro tè verde. Dall'unica finestra poté notare che il cielo si era rannuvolato di nuovo. Stettero in silenzio perché dovevano.
Posò di nuovo gli iridi sul paziente che come un'eroina da romanzo cavalleresco aveva tratto in salvo. I loro occhi, sebbene stravolti e quasi rassegnati a un infausto destino, non poterono inibire la passione che strabordava guardando l'uno il volto dell'altra. E gli occhi di Ian era così pregni di gratitudine che non riuscì ad eclissare né si preoccupò di farlo.
Il passo di Rebecca era così leggiadro che si accorsero dell'arrivo del tè solo quando le tazze di porcellana strusciarono sul tavolino intagliato shabby chic.
<<Restate pure qui tranquilli. Credo che dobbiate riprendervi. Io ho delle cose da fare>> comunicò visibilmente distratta la psicologa <<Vi unirete agli altri direttamente all'ora di pranzo, quando suonerà la campanella per entrare a mensa, okay?>>
La Fisher era uscita. Dopo tutto quello che aveva fatto per aiutarli, Ines si sentì perfida nell'essere alleggerita della sua presenza, ma lo fu. Ian si alzò di scatto dalla sedia. Ines istintivamente guardò la cameriera al bancone, preoccupandosi che lo sguardo della ragazza non si distogliesse dai bicchieri che stava lucidando. Degluitì e pensò che quella era la differenza tra chi non aveva da perdere nulla e chi, invece, aveva da perdere tutto. Invidiò Ian che poteva prendere l'iniziativa e che in quel momento non si preoccupò di chi altri ci fosse nella stanza. Poi sorrise: dopotutto era il minimo che fosse lui ad alzare le chiappe dalla sedia.
Ian prese la testa di Ines tra le mani:
<<Stai bene?>> si preoccupò.
Lei posò le mani su quelle di lui, ancora affondate nei sui capelli:
<<Possiamo uscire un attimo?>>, abbassò la testa cercando di afferrare un po' di quell'aria viziata che aleggiava nella stanza.
Lui la prese per mano e uscirono nel corridoio.
<<Ho fatto un casino>> scosse la testa lei.
<<Ma che dici?>> esclamò incredulo <<Tu... Non so che dire... Io ho ancora delle mani, grazie a te!>> sparò la frase più breve e concisa per rendere l'idea di quanto Ines, nell'esporsi, si fosse presa cura di lui.
Lei osservò le mani di lui. Erano splendide. Come avrebbe fatto se non avesse più potuto avere un tocco da quelle mani?
<<Io ho fatto un casino>> la contraddì, mortificandosi. Avrebbe voluto dire talmente tante cose ma le parole non riuscivano a venir fuori. Sospirò rumorosamente, nell'indugiare, quasi a voler colmare con il suono di quel soffio il silenzio delle mancate parole. Lei comprese quell'imbarazzo senza via d'uscita. Comprese che Ian avrebbe voluto fare molto di più che parlarle. Sorrise:
<<Credi ancora che io sia senza cuore?>> lo guardò dritta negli occhi. La domanda non aveva il tono di una provocazione, ma piuttosto un leggero tremito in essa, nascondeva la speranza che Ian confermasse quello che lei stava intuendo e che avesse cambiato opinione. Lui scosse la testa. Sugli occhi chiari si formò uno spesso strato lacrimale. Nessuno al mondo aveva mai messo a rischio così tanto la propria salvaguardia per quella di lui. Si gettò su di lei e l'avvolse in un abbraccio morbido e commovente. Erano immersi in quella stretta accogliente, i loro volti affondati reciprocamente nelle vesti dell'altro. Ines inalò il profumo di lui e realizzò che era quella l'aria di cui aveva bisogno qualche attimo prima. Capì che l'unica cosa che la stava soffocando era la lontananza da lui.
Avvolto in quella stretta, Ian pensò che, in realtà, da quando lei era approdata su quell'isola, a Clover il sole non se n'era mai andato. In così poco tempo tutto era stato stravolto. Il suo primo pensiero la mattina, l'ultimo prima di addormentarsi, le sue priorità e il valore della sua stessa vita. Non era un problema aver passato gran parte della vita al Nun Ester: se fosse stato un ragazzo libero, cresciuto in una qualsiasi, banale, cittadina americana, Ines Danver sarebbe arrivata, come aspirante psicologa, in una Clover senza di lui e lui non l'avrebbe mai conosciuta. Ora era tra le sue braccia. Giurò che l'avrebbe protetta sempre. L'amava più di ogni altra cosa. Non poteva essere certo che Ines provasse lo stesso sentimento per lui, ma se solo lei lo avesse confermato, egli sarebbe stato, per la prima volta, felice di essere Ian Phoenix. Anzi, non sarebbe voluto essere nessun altro.
Ines passò le dita sulla schiena di lui. Non ricordava di aver mai provato così tanto desiderio e amore nei confronti di qualcuno. Come avrebbe potuto rivelargli questa cosa? Voleva viverlo a trecentosessanta gradi. Avrebbe voluto portarlo via, riportarlo a una nuova vita oltre quel cancello ed esserci quando lui sperimentava tutto ciò che gli anni settanta potevano offrire. Essere lì quando il mondo reale lo avrebbe accolto, vedere il suo stupore, la sua felicità, le sue prime soddisfazioni e scoperte, sorreggerlo come si sorregge un bambino che muove i primi passi. Sapeva che il mondo con il suo caos, le città con il loro traffico, le persone con il loro sgomitare, lo avrebbero colto di sorpresa e lui sarebbe inciampato più volte, ma sapeva anche che niente avrebbe potuto annientare qualcuno che a soli ventiquattro anni aveva vissuto quello che lui era stato costretto a soffrire. Sapeva che non voleva tornare in quel mondo senza portarci qualcuno che avrebbe arricchito quel mondo ultramoderno ma, troppo spesso, tristemente frivolo. Ian faceva la differenza. Nella sua vita e in quella degli altri. Sapeva di non voler vivere più niente in quel mondo se Ian non lo avesse vissuto con lei; per essere precisi, si domandò come avesse potuto sopravvivere fino a quel momento senza di lui.
Sentivano esattamente la stessa cosa l'uno per l'altra, provano la medesima passione, e più l'abbraccio si consumava, più ne erano convinti, ma temporeggiarono fino quasi a squagliarsi l'una nelle braccia dell'altro, forse per prenderne ancora più consapevolezza, forse perché tra quelle braccia era il posto più bello e rassicurante del mondo, forse perché avevano paura.
Tacquero nel pensare a quanto fosse alto il prezzo di una dichiarazione. Tutto stava nel riporre nell'altro quel coraggio, tutto stava nel decidere chi dei due dovesse fare quel passo, in quel momento, per loro, più significativo di quello di Neil Armstrong. La studentessa di Harvard, arrivata al Nun Ester come ragazza fidanzata, rispettata e ammirata fino a quel momento, a cui era stato chiesto solo di rispettare dieci semplici regole elencate su un tabellone affisso all'entrata dell'ala Est, come fossero i dieci comandamenti dati a Mosè sul monte Sinai: una delle regole era quella di non cadere in alcun sentimento amoroso nei confronti degli internati, o quantomeno, qualora ci si cadesse, di non reclamizzarlo per nessuna ragione. E poi c'era Ian Phoenix, ospite da dieci anni dell'istituto di igiene mentale di Clover, un fenomenale giocatore di basket sprecato e un disegnatore impressionante, mani d'oro anche quando si trattava di suonare un pianoforte o di muovere le corde di una chitarra; il più sedotto tra le mura di quel posto malandato, sia da chi aveva qualche ingranaggio del cervello fuori posto, sia da chi era perfettamente mentalmente ponderato e clinicamente sano, il toy boy che portava con sé il fardello di una bellezza angelica e che a letto veniva trascinato negli abissi peccaminosi degl'inferi; Ian, in bilico tra il passato, il presente e le bugie che si annidavano nello spazio temporale che intercorreva tra essi, nella trappola mortale di una malattia degenerativa per cui si poteva parlare di presente e passato, ma più raramente di futuro remoto; caduto, per mano della sorte, o meglio della Shyamalan, come primo paziente del fidanzato di Ines ed entrato nelle grazie del padre di questi, quasi come un figlio.
Fu quest'ultimo a staccarsi dalla stretta e a prendere tra le mani il volto che aveva davanti:
<<Hai vinto tu>> sospirò in un sorriso.
<<Che cosa?>> la ragazza rise lievemente. Aveva già capito che cosa. La gara di resistenza. Era paradossale essere in competizione con chi si amava tanto, ma loro due lo erano, mentre stretti in quell'abbraccio sapevano di essere le ultime due persone lì dentro a potersi permettere di avere una relazione e che dichiararsi sarebbe stato cessare di tutelare l'altro da conseguenze irreparabili. Sorrise del fatto che si fosse preso Ian tale responsabilità. Mentre sorrideva, lentamente si sentì trascinare il viso più vicino a quello di lui, e ancora e ancora. Le labbra si districarono dall'inclinatura di quel riso, si fecero serie e si schiusero in un respiro breve, l'ultima boccata di fiato debole, prima di essere tamponate dalle labbra morbide e corpose di lui che, nel frattempo, piano si erano posate lì. Chiuse gli occhi, voleva lasciare spazio solo ai sensi del tatto e del gusto, anche se, prepotentemente l'olfatto si fece strada, ricordandole il profumo di muschio bianco e di mare che l'aveva pervasa quando le sue narici erano sprofondate nel maglione di Ian. Aprì gli occhi solo dopo qualche secondo, per un istante infinitesimale, solamente per assicurarsi di non stare sognando.

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Disturbia
Mystery / ThrillerVenticinque studenti specializzandi dell'università di Harvard vengono selezionati per svolgere un tirocinio presso il "Nun Ester Institute", un centro di accoglienza per ragazzi problematici. Dal loro trasferimento lì verrà fuori la convivenza for...