Il suo piatto era pieno ma lui non mangiava. I capelli dorati gli coprivano la faccia, stava disegnando il volto di un uomo su un foglio.
«Lui se la sarà già scopata, lei sarà già morta» uno dei ricoverati grande e grosso, che dimostrava il doppio dell'età che aveva, rise con strafottenza. Il ragazzo biondo a cui era destinata la frase distolse gli occhi dal foglio:
«Tu non sai niente»
«So che se pensi che la gente creda a codeste fantasie, ti sbagli di grosso» incalzò il ragazzo dalle movenze da gorilla e dall'accento russo particolarmente spiccato.
«Non ti ho chiesto di credermi» si rimise a disegnare. Ian non voleva beghe, non aveva proprio voglia di discutere.
« "Puoi non credermi, però adesso piango, e me la faccio sotto dalla paura perché potrebbero tornare fantasmi dal passato. Infondo, io ho solo pensato a salvarmi per me, lasciando il sangue del mio sangue in balia di un mostro! Cos'altro avrei potuto fare? E ora rimedio ai sensi di colpa, credendo che a breve mi porteranno indietro una creatura che ho abbandonato quasi vent'anni fa"» mugugnò il ragazzo robusto simulando una voce fine e tremolante per prendersi gioco dell'altro.
Ian questa volta si alzò in piedi, lo prese per il bavero:
«Finisce che ti spacco la faccia se non la smetti di rompere!» poi allentò la presa, credendo che non valesse la pena di sprecare il fiato che gli rimaneva per quel bestione senza cervello. Decise di rimettersi a fare ciò che aveva interrotto.
«No, facciamo che provi a spaccarmela adesso la faccia! Che ne dici?» urlò il ragazzone stempiato con le basette color pelo di bue e travolse l'altro che era la metà di lui. Si presero a pugni. Ian stava avendo la meglio. Intanto chiunque fosse in quella stanza si racchiuse a vortice intorno ai due. Le sedie vennero sbatacchiate e schizzi di sangue bagnarono il pavimento rustico e sconnesso che riassorbì le macchie quasi all'istante. Il bestione precipitò sopra un panchetto, rompendolo, mentre gridava all'altro "Assassino! Sappiamo che l'hai uccisa tu!".
Il ragazzo dagli occhi grigio-blu si fermò un istante, sentì il respiro venirgli meno, si appoggiò al tavolo con la testa china.
Un gruppo di ragazze di Harvard, si fece spazio tra la folla, gli occhi delle giovani attraenti erano su di lui. L'altro ebbe il tempo di rialzarsi, afferrare una forchetta dal tavolo, prendere per il collo il giovane avversario e puntargli i denti della posata alla gola, andava sempre più a fondo. La turba, che fino a quel momento era stata in silenzio, quasi felice dello spettacolo, iniziò allora a farsi scappare qualche stridulo.
Bob, si voltò verso Amanda:
«Cazzo! Io non mi spiegavo perché non ci fossero coltelli a mensa, adesso credo di aver capito, porca puttana! Quello con un coltello ci restava secco!»
Amanda, per tutta risposta, scansò repentina Bob che si trovava proprio davanti all'interruttore:
«Ci rimane secco ugualmente se nessuno suona questo cazzo di campanello» e si sporse per cercare l'allarme, premendolo poi con insistenza «non capisco, di solito stanno sempre qui come avvoltoi a fissarci mangiare e oggi tutti a farsi gli affari propri!».
Ines entrò proprio in quel momento con una mela in mano e due volumi di anatomia stretti nell'altro braccio. Notò lo scompiglio. Non chiese a nessuno cosa stesse succedendo, ma la folla si era smussata per far posto a degli infermieri in camice bianco che presero di forza i due ragazzi. Ian stava sanguinando dal collo e tossendo in modo preoccupante.
«Ho trovato un punto in comune con il mio protetto: tira dei destri da paura!» disse Ashton a Ines ancora con gli occhi puntati sul fragile ragazzo biondo che veniva strascicato dagli infermieri e preso a bastonate appena si divincolava un minimo.
Ines sgranò gli occhi. Aveva capito dove stavano portando sia lui che l'altro con cui aveva avuto lo screzio. Sentì una stretta allo stomaco.
Ashton non le era più vicino. Aveva ripreso il suo posto e stava addentando una forchettata di lasagne.
«Spero che gli friggano il cervello» disse a labbra strette una ragazza di Harvard dal vestito succinto e i capelli tirati indietro da una fascia azzurra, osservando astiosamente il ragazzo bello e dannato che veniva portato via e che a mano a mano diveniva un punto piccolo lungo il corridoio infinito che conduceva alla sua tortura.
«Andiamo Gaia! Sei un po' troppo vendicativa. Non puoi piacere a tutti.» rise una delle amiche che aveva accanto.
«In più, non hai proprio scrupoli!» aggiunse un'altra «tentare spudoratamente di farci sesso» sghignazzò.
Poi si rivolse a Ines:
«Si dice che sia un vero stallone! Chi l'ha provato può giurare che a letto è uno schianto! Corre voce che le ragazze ricoverate nell'istituto facciano dei baratti: una scopata per almeno sette buoni. Il biondino così, ha più buoni in tasca che capelli in testa. Allora Gaia ha pensato che non fosse una cattiva idea sperimentare» poi soffocò una risata «Ci dispiace Gaia, mi sa che non sei il suo tipo!». Ines abbassò lo sguardo e si sistemò i capelli dietro le orecchie. Non rispose nulla.
La ragazza dai capelli voluminosi e la fascia azzurra si indispettì:
«Sì, ridete. Prima o poi cadrà ai miei piedi, come chiunque, del resto. Io sono in una posizione di netto vantaggio. Posso minacciarlo, posso avvicinarmi a lui con ogni mezzo di tortura, con siringhe di ogni dimensione con la scusa che il signorino ha bisogno di calmanti. Se solo inventassi che è stato lui a provarci con me, a tentare di abusare della mia dote, oddio! Non oso immaginare cosa potrebbero fargli! Rimpiangerebbe di essere nato!» poi alzò la testa con fare altezzoso e sfoggiò un sorriso prepotente.
«Scherzi spero?! Adesso stai diventando sadica. Mi fai paura» dissentì una delle compagne squadrando l'amica. Ines si massaggiò le tempie. Le urla del ragazzo erano ormai ovattate per via della lontananza. Raggiunse il fidanzato a sedere.

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Disturbia
Misteri / ThrillerVenticinque studenti specializzandi dell'università di Harvard vengono selezionati per svolgere un tirocinio presso il "Nun Ester Institute", un centro di accoglienza per ragazzi problematici. Dal loro trasferimento lì verrà fuori la convivenza for...