Accompagnò Ashton in biblioteca, lei si era già messa in pari con il programma della settimana. Dalle grandi vetrate si vedeva fuori. L'erba incolta era mossa dalla brezza proveniente da est, persino lo specchio dell'oceano era increspato dal vento. Quel giorno c'era il sole. Una figura magra stava seduta su un masso piantato in mezzo al campo, dietro il castello, a ridosso delle scogliere. Era Ian. Ines uscì fuori cercando la via più facile per raggiungerlo. Si legò i capelli voluminosi, alla meno peggio, in uno chignon. Arrivò lì e il nodo alla gola si smorzò in un sorriso appena vide il ragazzo voltato di schiena, le sue spalle larghe e ossute, e il collo lungo sul quale c'era l'ombra di un neo. Gli passò davanti perché si accorgesse di lei. Lui si tirò su gli occhiali da sole. Alzò gli occhi su colei che, in piedi, gli stava parando il sole che raramente faceva visita all'isola.
«Non devi farlo ogni volta» le offrì un sorriso comprensivo la giovane.
Lui ricambiò, poi si rimise a disegnare. Lei si stiracchiò, si voltò verso il sole, si sciolse i capelli e chiuse gli occhi, lasciò che solo le palpebre fini la riparassero dalla luce.
«Dite che non c'è mai il sole qui e poi quando si fa vivo, usate quegli attrezzi» costatò lei senza scomporsi dalla sua posizione e senza aprire gli occhi. Accennò un sorriso che lui non vide, dato che la ragazza gli dava le spalle, ma che percepì. Così rise a sua volta:
«Questi attrezzi si chiamano "occhiali da sole"» la informò a presa di giro.
«Ohhhhh, ma non mi dire!» si decise a voltarsi «Vivo anch'io nel ventesimo secolo eh» lo informò concedendogli una risata.
«Rayban, ultimo modello» se li tolse con vanto «Vuoi provarli? Dato che vivi nel ventesimo secolo, dovresti modernizzarti» la sfidò porgendole gli occhiali. I suoi denti bianchi quasi la accecarono. Accettò, se li rigirò tra le mani. Si guardò intorno e sorrise impacciata.
«Sono unisex» la informò «Oh certo in quel faccino minuscolo sarai tutta occhiali, però... » la prese in giro
«Non ho la faccia minuscola!» si difese «Non ci sai fare con le donne, si vede» disse d'un fiato, mostrandosi spavalda e indossando gli occhiali. Sperò di non apparire ridicola con quei Rayban anche se sapeva di non poter mai risultare bella come era bello lui. Ian sorrise, sbirciò per osservarla, lei si grattò la fronte, poi, arrendevole, tirò indietro i capelli per mostrarsi meglio a lui. Il ragazzo fece un'espressione di consenso che tradotta sarebbe potuto essere un "niente male, amica. Fregato", si mise più composto sul masso su cui era seduto:
«E perché non ci saprei fare con le donne?» volle sapere.
Lei si strinse nelle spalle:
«Guarda ora, per esempio: non mi sembra che tu abbia espresso a parole la tua approvazione sul mio look»
«Ma l'ho espressa con gli occhi: era un'approvazione a tutto tondo!»
«Mmm... no, non l'ho recepito» lo sminuì fingendosi mortificata.
«Beh, ovvio che non ci sappia fare: sono cresciuto qui» si giustificò con l'aria da furbetto.
«E qui non sono presenti ragazze?» incalzò. Rifletté. Era così naturale parlare con lui, ma sentì di essere stata invadente e fuori luogo. Non erano le conversazioni consentite dal regolamento. Si guardò intorno. Non sapeva se Ian aveva avuto il permesso per starsene seduto in quel giardino, ma lei sicuramente no. Fu svincolata dal groviglio di pensieri che volteggiavano nel suo cervello dalla risposta di Ian:
«Si, ma non tu. Cioè, fino ad ora non eri presente tu» si addolcì.
Lei si fece ancor più seria. Si massaggiò il collo, diede uno sguardo al parco del castello dove gli studenti di Harvard stavano seduti a studiare e a mangiare merendine: avrebbe dovuto raggiungerli, ma decise di rimanere esattamente dov'era. Si sforzò di cambiare discorso. Sapeva che ricadere sull'argomento dei disegni avrebbe incupito il ragazzo, ma non poté fare altrimenti.
«Insomma... forse vuoi ancora dirmi il motivo di quel volto dipinto»
«Lo ritraggo, perché non posso scordarmelo, è per tenere vivo il ricordo. E' passato tanto tempo e non posso permettere che la memoria mi tradisca quando arriverà qui» si fece serio, come previsto.
«Quando arriverà qui?»
«Sì, lui. Allora finalmente con questi» fece svolazzare i fogli «avrò le prove. Lo vedrai tu, lo vedranno loro e smetteranno di darmi del pazzo. Credo che succederà un casino».
Si fece spazio vicino a lui sul masso duro e bagnaticcio. Il cuore accelerò i battiti. Si mise gli occhiali sulla testa, strinse le labbra in un sorriso quasi commiserevole e avvolse il ragazzo di sguardi solo finché lui non ricambiò. Allora per lei, senza neanche più la protezione di quegli occhiali scuri, fu troppo: chinò la testa sul blocco pieno di ritratti, glie lo sfilò di mano.
«Sei bravo» si riferì alle capacità grafiche del suo interlocutore «Facciamo che per ogni giornata di sole, tu ti libererai la mente da questa persona, e se vorrai disegnare, disegnerai qualunque altra cosa, che ne pensi?»
«Penso che le giornate di sole sono più uniche che rare qui a Clover, posso fare questo voto» fu felice di accontentarla.
«Infatti oggi è una bella giornata di sole qui a Clover» ribatté lei, convinta di averlo messo a tappeto e aspettando il momento in cui avrebbe messo via quei fogli su cui era raffigurata la faccia di qualcuno che sicuramente gli aveva fatto del male. Guardò il cielo, più per l'imbarazzo di guardare lui che per confermare la sua tesi dei raggi accecanti di quel pomeriggio.
«A questo giro non mi chiedi cosa ne penso?» gli occhi da furbetto cercarono un riscontro negli occhi neri e profondi della riccia ragazza.
«No, tanto ti ho steso, mi sembra chiaro. Riprenditi i tuoi occhiali, c'è un sole insopportabile oggi, nonostante ciò... non hai ancora messo via quelli» rispose cercando di guardare di nuovo il volto sulle scartoffie pur di non penetrare le iridi nelle pupille pungenti circondate da un vortice grigio-blu, che erano sempre più vicine.
«Ci sono tanti ragazzini là dentro a cui dare le tue attenzioni. Sono affamati di affetto. Non preoccuparti per me, starò bene» la tranquillizzò regalandole un sorriso dolce e terribilmente triste. Lei annuì rassegnata. Si alzò, ma lui la trattenne:
«La tua terapia non è male ripensandoci, il problema è che qui intorno ci sono solo paesaggi e ruderi» guardò in giro «E poi ci sei tu. E i miei soggetti preferiti per un disegno sono i volti umani, come avrai notato» rise autoironico «Staresti in posa qualche minuto per aiutarmi con la terapia?» sospirò alzando le spalle. Non fece in tempo a finire di pronunciare la frase che si pentì di averlo fatto. Doveva stare al suo posto. Che diavolo stava facendo? Quella ragazza era un dono per i ragazzi di Clover, non avrebbe messo a repentaglio il suo ruolo e la sua dignità.
Lei arrossì:
«I- io credo invece che dovrei proprio andare adesso».
Fece per andarsene, poi si voltò verso di lui:
«Cosa avevi fatto di male?»
«Quando?»
«Ti hanno messo a pulire gli spogliatoi» gli ricordò.
«Non era una punizione» rise, lottando contro il sole intenso che gli permise solo di vedere la sagoma formosa e attraente della giovane.
Lei scosse la testa con un sorriso impacciato. Non capiva.
«L'ho chiesto io, per avere dei buoni» spiegò.
Lei non rispose. In quella frazione di secondo passarono nella sua mente mille modi plausibili con i quali Ian avrebbe potuto spendere i buoni, mille ipotesi. Si fece ancora molte domande su quel ragazzo misterioso.
«Hai saputo cos'ha combinato Mia con la sua bambola?» incalzò lui.
Ines schiantò una risata:
«Dio che schifo! Perché me lo hai ricordato?» lo rimproverò «L'ultima volta che l'ha portata nell'ora di terapia -hai presente quanto è piccola quella stanza?- ho dovuto trattenere il respiro per tutto il tempo! E' lì che anche io ho iniziato a sospettare che qualcosa in Sally non andasse» si ricordò divertita. Mia aveva riempito la sua Sally con le provviste di cibo avanzato dalla mensa, perché "anche lei doveva mangiare per crescere".
«Esatto. C'era dentro cibo marcio, vecchio di almeno due settimane» confermò lui scuotendo la testa divertito «Ho pensato di regalargliene una nuova. Avrei provato ad aggiustare la sua Sally, lavandola bene bene, se la Shyamalan non l'avesse gettata nel camino di sana pianta» spiegò.
«Ci credo! Si era riempita di insetti oramai!» simulò un conato di vomito lei, forse, sul primo ignorando quello che di bello Ian aveva detto.
«Il carico merci arriverà la settimana prossima. La nuova bambola non sarà Sally ma sono sicuro che Mia ne sarà felicissima. Avevo diciassette buoni da parte, per la bambola ce ne volevano ventidue»
Solo allora realizzò. Le mancarono le parole. Ian aveva un cuore nobile, tanto grande da chiedersi come faceva ad essere contenuto in una cassa toracica tanto stretta. Lo salutò e il ragazzo in controluce non potè notare i suoi occhi commossi.
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Disturbia
Mystery / ThrillerVenticinque studenti specializzandi dell'università di Harvard vengono selezionati per svolgere un tirocinio presso il "Nun Ester Institute", un centro di accoglienza per ragazzi problematici. Dal loro trasferimento lì verrà fuori la convivenza for...