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Mi preparai per la serata, indossai un vestito a tubino nero, raccolsi i capelli in uno chignon e celai la mia espressione contrariata sotto un filo di trucco, completai il tutto con delle gucci tacco sette e la borsa abbinata, doveva essere la mia serata, mi guardai allo specchio un'ultima volta, diedi un buffetto al nano ed uscii dalla porta.

Mi trovai dentro ad un salone enorme, ricco di specchi e di quadri,le luci blu illuminavano il salone in parte, mantenendo un'aria sofisticata, una dozzina di giornalisti stava usufruendo del buffet gentilmente offerto da Black e dal suo staff, mi guardai intorno, i miei concorrenti non sembravano temermi come d'altro canto io non temevo loro, ognuno dei quali si pavoneggiava ostentando le proprie doti e capacità nell'intervistare personaggi di fama, riconobbi qualche faccia del Times e del NewYorker quando qualcuno mi strinse la mano, trasalii.

-Lindsay- mi voltai riconoscendo la sua voce profonda.

-Dave, che ci fai qui?- domandai fingendomi sorpresa, mi raccontò che anche suo padre lo aveva candidato e che come il mio, puntava all'articolo, chi non lo avrebbe fatto d'altronde? Black era l'uomo più ricco, amato e nel contempo odiato d'America e del mondo intero. Dave era il mio compagno, per lo più un fidanzato scelto, come ci piaceva chiamarci, i nostri padri si odiavano, da sempre concorrenti ebbero a dir loro la brillante idea di prometterci quando eravamo solo bambini organizzando anche il nostro futuro matrimonio che si sarebbe tenuto un anno più tardi -perché non me lo hai accennato?- mi morsi il labbro inferiore. Dave era per lo più uno di quegli uomini che ti saltano subito all'occhio, cappelli neri ricci alla sbarazzina, occhi verdi, un sorriso mozzafiato e un corpo perfettamente muscoloso nei punti giusti, era brillante, simpatico e terribilmente attraente. L'uomo perfetto dite? No, non lo era, come tutte le favole che si rispettino aveva anche lui i suoi difetti, beveva per esempio, sin dal primo giorno di convivenza e ogni tanto, durante le prime litigate e anche negli ultimi tempi aveva più volte alzato le mani su di me, non mi amava, non lo amavo e non conoscevamo nessun modo di amarci perché, cresciuti sin da bambini con genitori anaffettivi e privi di senso genitoriale, il solo fatto di non avermi mai toccata in tre anni di convivenza la diceva lunga, ogni notte si portava una donna diversa a casa e aveva creato una camera tutta sua per il sesso con le donne, alcune pensavano fossi la sua coinquilina o peggio ancora la sorella.

Mi sfogai con mio padre ma non ci fu modo di annullare la pazzia dei nostri genitori, il motivo? L'eredità editoriale che ognuno di noi portava sulle spalle, i nostri genitori bramavano gli uni i giornali degli altri ed io e Dave ne eravamo le vittime, dovevamo amarci obbligatoriamente per i loro interessi, dovevamo convivere forzatamente e fingere di volerci bene, dovevo nascondere i lividi di quando tornava a casa ubriaco, dovevo nascondere di star bene quando in realtà non era per niente in salute, dovevo coprire le cicatrici del mio cuore per il bene comune, per non sentirmi dire per l'ennesima volta che non avevo scelta, ero dentro una gabbia da quando ero nata e non avevo la chiave per uscirne, ero palesemente fottuta.

-Lo sai che in questo campo non si svelano i segreti- mi fece l'occhiolino portandosi un'oliva alla bocca, inizialmente pensai di amarlo, di volerlo e di meritarmi un David ma più lo conoscevo e più mi rendevo conto che non era l'uomo adatto a me e che meritavo altro, non l'amore perché non lo conoscevo personalmente e l'avevo solo letto nei libri, non sapevo neanche di che sfumatura fosse rappresentato l'amore che molti decantavano come una libidine di cui bearsi, uno sfarfallio leggero nello stomaco che porta il cuore e l'anima a livelli di pace inimmaginabili. Ma sicuramente meritavo altro, almeno, lo credetti all'inizio, mi allontanai da lui e mi avvicinai ad un quadro che attirò la mia attenzione, sfiorai la cornice con i polpastrelli, c'era qualcosa di strano ma piacevolmente interessante in quel quadro, era come se mi sentissi osservata ed elettrizzata al tempo stesso, provai un brivido sulla schiena, raffigurava un semplice vaso di fiori appassiti, qualcosa che qualcuno potesse interpretare macabro e per niente interessante, eppure non riuscii a fare a meno di osservarlo, mi sentii catturata dalle sensazioni che suscitò in me.

Qualche ora più tardi capimmo che probabilmente Black non si sarebbe fatto vedere, la maggior parte dei giornalisti era brilla o ubriaca e Dave era uno di questi, tant'è che quando al bar misero della musica un po' più spinta inziò a ballare e mi chiese se volevo seguirlo.

-No Dave non voglio per favore- mi tirò per le mani -Dave non voglio davvero- cercai invano di resistergli.

-Muovi quel culo grasso che ti ritrovi Cooper- mi obbligò ad alzarmi.

-Ehy lasciala stare ti ha detto che non vuole ballare- disse un ragazzo difendendomi, il mio cuore iniziò a battere a mille, sapevo cosa sarebbe successo di lì a poco, l'espressione di David mutò, il suo sorriso si trasformò in una smorfia di dissenso.

-Scusa?- disse Dave ridendo senza neanche voltarsi -sparisci pidocchio. Avanti Linds una sola canzone- mi tirò a sé.

-Ho detto di lasciarla in pace- ripeté il ragazzo coraggioso spingendolo per allontanarlo da me.

-Non so se ho capito bene- si alzò la manica del braccio destro, lo presi per quest'ultimo cercando di fermarlo.

-Dave per favore- dissi disperatamente, questo colloquio stava per diventare un totale disastro, quando il biondino alzò il braccio per colpire mi venne l'idea malsana di mettermi in mezzo, sentii un dolore abbastanza forte sull'occhio destro, la sala si zittì e due energumeni alti e ben piazzati si misero tra i due e li portarono fuori mentre si insultavano e dimenavano per liberarsi. Avevo gli occhi della sala puntati addosso, li sentivo come spilli che perforavano la mia pelle, non ferendola, ma erano fastidiosi e mi facevano sentire vulnerabile e non lo sopportavo.

-Signorina Cooper?- disse un uomo di colore sulla cinquantina, alto, pelato e ben piazzato, lo osservai -deve venire con me- mi disse prendendomi per il braccio, ottimo, è riuscito a rovinarmi anche il colloquio pensai, come avrei fatto a spiegarlo a mio padre?

-Venire con lei? Perché?- ma non rispose, stette in silenzio e mi condusse dentro ad un corridoio -io non ho fatto niente... davvero, mi lasci andare la prego- in silenzio mi condusse dentro una stanza semi buia, sulla destra c'era un camino acceso con un divanetto davanti, potei intravedere una scrivania davanti a me e una poltrona dalla spalliera alta, era girata.

Il silenzio mi stava facendo impazzire, l'uomo si fermò davanti la scrivania e aspettò qualche secondo prima di parlare, ma i suoi pensieri vennero interrotti dai passi di qualcuno che ci aveva seguiti.

-Lascialo entrare- disse una voce indefinita davanti a me, non capii da chi o da dove provenisse, era una voce dolce, sottile, la porta si aprì bruscamente.


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