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Tornai a Wanderlust in quel freddo giorno di Ottobre, l'autunno era arrivato senza che me ne accorgessi, pioveva forte e John mi scortò alla macchina facendomi mille domande a cui non risposi, ero persa nel mio mondo, forse anche grazie ai tranquillanti che David mi aveva gentilmente offerto e John sembrò capire che non era il momento di continuare a parlare, sembrava parecchio nervoso o forse era una mia impressione.

Trovai Adam all'ingresso che mi accompagnò col suo ombrello verso il porticato.

-Sono andati a Los Angeles ieri mattina per una giornata di beneficenza- mi disse -Frank voleva che l'allegra coppia si mostrasse ai giornalisti per dimostrare che tutto era a posto- mi scrutò attentamente -saranno qui a momenti-

-Grazie Adam sto bene non ti preoccupare- lo vidi nel suo volto, l'espressione allarmata che cercava di decifrare il mio sguardo, ma il fatto che non ci riuscisse probabilmente lo turbava.

Quando entrai in casa non c'era nemmeno Penny, ero sola, accesi la tv e aspettai di vederli, la cnn parlò di un bacio coinvolgente tra i due, di una cifra da urlo donata per l'Ucla Medical Center.

-A quando le nozze?- chiese un giornalista, Michael sorrise dolcemente stringendo la mano di Marie e portandosela sulle labbra.

-Se fosse per me la sposerei qui, ora, davanti a voi, ma essendo cristiani entrambi vogliamo fare le cose per bene, ma non manca molto- la baciò a fior di labbra.

-Non vediamo l'ora- disse Marie fingendo imbarazzo, spensi la tv nauseata con l'ultima frase di Michael.

-Lei è la donna della mia vita- era troppo.

Uscii di casa e corsi verso il teatro, la pioggia incessante mi bagnò da capo a piedi, non trovai nessuno sulla strada, la pioggia aveva permesso al ranch di riposarsi per una giornata intera e il sol vederlo così desolato mi mise tristezza, angoscia e un senso di solitudine incolmabile.

Mi rifugiai in quel posto magico e arrivai nei camerini dove trovai vestiti di ogni tipo, dalla divisa da Charlie Chaplin, ai costumi da pagliaccio, da strega, da principessa e da ballerina classica. Mi spogliai rabbrividendo per il freddo e ne indossai uno, con collant rosa confetto annesse, mi ritrovai a sorridere per l'emozione di tornare dentro quelle vesti, presi delle scarpette del mio numero e le indossai, provai dolore, quel classico dolore iniziale che si prova nello stare sulle punte, senza i bendaggi adeguati sapevo per certo che avrei provato dolore, ma non mi importava. Il dolore dell'anima o le pastiglie di David non mi fecero sentire nulla, uscii sul palco, le tende erano aperte e potei osservare le poltrone lievemente illuminate dalle luci sopra di me. Chiesi al dispositivo super tecnologico di mettere Healah Dancing e iniziai a danzare, lentamente, ascoltando la musica, ritrovando me stessa, cercandomi nel profondo.

Vidi la bambina di cinque anni alla sua prima lezione di danza, era elettrizzata, ammirata dalle sue coetanee per l'estrema dedizione e bravura nel riprodurre dei passi estremamente difficili, vidi la bambina di sette anni il cui sogno di danza era stato spezzato dal padre che la riteneva una disciplina per sognatori sciocchi, chiusa in camera a leggere libri incomprensibili, osservare di tanto in tanto il segnalibro che rappresentava il volto di sua madre, vidi la bambina di undici ricevere un premio come miglior scrittrice del suo corso scrutare tra le poltrone davanti a sé il volto del padre o dei fratelli ma nessuno andò a vederla. Buttò quel trofeo nel cestino di camera sua piena di delusione e risentimento e quando il padre la trovò piangere ritrovarsi in punizione dentro uno sgabuzzino buio.

Mi ritrovai a svolgere un fouettè, caddi ma mi rialzai continuando con delle pirouette. Vidi la ragazza di quattordici anni in compagnia del suo primo amore mentre il padre lo cacciava di casa ricordandole che era promessa a un altro ragazzo che aveva visto solo due volte, vide la ragazza di diciassette anni e mezzo scappare e rifugiarsi nella casa del futuro quasi-sconosciuto ragazzo, portata in un vortice che la portò a ballare nei club di lap dance per guadagnarsi da vivere. Vide suo padre quando ne aveva soli diciotto giocarsela ai tavoli da gioco come merce di scambio, le aveva rovinato la vita, le aveva rovinato la vita perché ora la cosa più preziosa della sua vita era stata affidata al suo aguzzino. Caddi di nuovo dopo aver tentato un Jetè e un ron de jambe con sottofondo la canzone Emissary, non riuscii a rialzarmi, le forze mi stavano abbandonando lentamente proprio mentre la canzone sfumava, rimasi per terra cercando di calmarmi e non andare nel panico.

Non so quanto tempo dovesse essere passato ma rimasi lì a terra coi piedi dolenti e il cuore in frantumi mentre gli ultimi attimi dei mesi passati con Michael e mio figlio mi passavano davanti, avrei voluto far uscire il dolore che mi costringeva a terra, che mi pesava sulle spalle come un'enorme macigno, ma non riuscii a piangere, qualsiasi cosa pensassi non mi permise di buttare fuori quello che provavo, ero un involucro vuoto steso a terra.

Dopo un'infinità di tempo, tornai in camerino e mi rivestii, posai i vestiti e li nascosi dentro una scatola, sarei tornata a ballare, per lo meno mi faceva stare bene.

Uscii dal teatro che era giorno, pioveva ancora molto forte ma uno spiraglio di luce illuminava il parco, gli alberi, le foglie illuminando il parco che poche ore prima mi era sembrato triste e cupo.

Camminai lungo il viale senza preoccuparmi della pioggia che stava impregnando i miei vestiti nuovamente e che nascondeva le mie lacrime, quando arrivai sul porticato di casa scorsi John e Adam seduti sui gradini, si alzarono appena mi videro, sembravano sollevati.

-Lindsay, dove diavolo eri finita?- chiese Adam preoccupato, li osservai sorpresa.

-Ero andata a fare una passeggiata- mi spiegarono che Michael era rientrato in tarda nottata e non riuscendo a trovarmi aveva detto a tutti i suoi collaboratori di cercarmi, era impazzito e non ne conoscevano il motivo.

-Marie è con lui- mi avvisarono.

-Beh, ditegli che io sarò in camera mia a farmi un bagno caldo-

-Non ce n'è bisogno, sono qui- Michael era sulla soglia della porta vestito con una tuta e portava gli occhiali da sole, gli sorrisi appena -cosa ci fai sotto la pioggia, vieni dentro o prenderai un'influenza- prese una coperta e me la mise addosso -dove diavolo eri finita?-

-A fare una passeggiata- gocciolavo.

-Una passeggiata... per tutta la notte? Ci hai fatto preoccupare, pensavamo ti fosse successo qualcosa... Dio solo sa quanto...-

-Michael, sto bene- lo fermai -ho solo bisogno di una doccia, dopo parliamo- mi alzò il viso per guardarmi meglio ma non riuscii a sostenere il suo sguardo.

-Hai pianto Linds? Va tutto bene?-

-Sì- esortai togliendomi la coperta di dosso -dopo pulisco il disastro che ho fatto- dissi salendo le scale, li sentii parlare tra di loro ma non mi importava, entrai in camera e riempii la vasca ascoltando e hundan hulu. Togliendomi Jeremy mi avevano incastrata, sapevano che sarei dovuta tornare, forse mio padre aveva parlato con Frank e si erano messi d'accordo vedendomi come una minaccia, entrambi per i loro piani, ma dalla mia avevo il file che comprometteva mio padre, era un'arma che avrei potuto utilizzare. Rimasi in vasca qualche ora, finché mi convinsi ad uscire, mi asciugai i capelli e tornai all'acconciatura iniziale, il mio solito chignon, mi truccai pesantemente e misi una camicetta rosa confetto, con dei pantaloni beje di Prada, indossai le scarpe con il tacco e mi diressi in stanza di Erika.

Le spiegai cosa fosse successo, che doveva tornare a New York e parlare con Dean sul da farsi, non potevo farle io da tramite, fece una cosa che mi sconcertò e sorprese, mi abbracciò dicendo che le dispiaceva.  

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