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Non ce la facevo a sentire i singhiozzi di mio figlio che parlava di me, mi voltai e nella fretta feci

cadere un vaso posato sul mobile, sperai che nessuno si fosse accorto della mia presenza e come una

codarda scappai ancor prima che succedesse, prima con la mente e poi col corpo, il più lontano possibile, dove nessuno poteva trovarmi.

Mi bruciavano gli occhi e quel senso strano di rammarico e sofferenza che provavo dovevo in un qualche modo espellerlo dal mio corpo, la corsa mi fece battere il cuore a mille, lo sentivo chiaramente dentro di me, quel tumtum veloce quanto i pensieri che non volevano saperne di lasciarmi in pace. Le gambe iniziarono a farmi male e rischiai di cadere su qualche radice d'albero che non riuscii a vedere perché le lacrime iniziarono a rigare il mio viso inesorabilmente, senza che riuscissi a controllarle.

"Non piangere Linds" corsi lontano, l'aria fredda della sera mi pungeva sulle guance ed io ero in canottiera in mezzo a quella tormenta di vento, ma la tormenta era dentro la mia testa e non mi dava pace da tempo ormai, raggiunsi il lago dove si innalzava l'albero più grande e spettacolare che avessi mai visto.

Mi sedetti a terra ed appoggiai la schiena sul suo possente tronco, come se lui potesse sorreggere il peso che mi ero portata per tutti quegli anni, come se potessimo dividercelo ma non era così, era tutto mio ed era lì davanti a me, per ricordarmi che avrei dovuto prendermene carico risolvendo la situazione sul nascere. Ma non lo feci, per paura, per vergogna, per tutto ciò che quell'avvenimento aveva portato nella mia vita stravolgendola a tal punto che neanch'io sapevo più chi ero e quale scopo e ruolo avessi nella mia vita.

-Non affezionarti troppo a quel bambino- mi voltai di scatto, ero dietro di me e sentivo il suo profumo di Chanel nr.5 che tanto avevo imparato ad odiare, era seduta sulla sedia a braccia conserte, col suo sorriso perfido stampato in faccia mentre mi osservava schifata, sapevo quanto mi odiasse, ma non sapeva quanto io odiassi lei e tutto il contorno che la circondava.

-Perché?- chiesi ingenuamente, si alzò per avvicinarsi a me e guardarmi negli occhi, potei sentire l'odore di sigaretta misto cicca del suo alito tanto si era avvicinata.

-Te lo porterà via- era partito tutto così quella sera, in cui mi ubriacai disperata, dentro di me

avevo provato un senso di vuoto mai sentito prima d'allora, ero riuscita nonostante tutto a superare quel periodo nero, mi ero fatta aiutare, da uno psicologo e dai farmaci e nonostante tutto, avevo trovato la forza per rialzarmi, da sola. Ero riuscita a trovare un briciolo di lucidità per non perdermi nei pensieri che mi inabissavano nelle acque profonde della depressione, avevo provato a togliermi la vita senza esserci realmente riuscita. Probabilmente non lo volevo quanto pensavo o non avevo la forza necessaria per compiere quel gesto.

-Lui non sa che è suo- non poteva esserne certo, non aveva le prove non poteva portarmelo via, rabbrividii a quel pensiero.

Oh sì che lo sa, lo sa eccome e lo ha capito dal momento in cui ti ha guardata dritta in quegli occhi da sgualdrina che ti ritrovi-

-Lei non...-

-Sì che posso tesoro... ti ha in pugno e appena potrà te lo porterà via... credi che gli basti un solo figlio? Io non ho potuto dargliene altri. Ti ha portato dove voleva lui, intrappolandoti nella sua

morsa meschina. David è malato gravemente e lui si è fatto convincere che un metodo plausibile sia quello di fare un figlio con la speranza che i valori siano gli stessi. E se Dio vorrà quando ne avrà bisogno farà tutto ciò che gli è possibile per mettere in atto il suo folle piano. La scienza e i soldi, come vedi, ti offrono molto, ma non salvaguardano le vite, il cancro non si fa comprare, ti porta via ancora prima che te ne renda conto. Quel marmocchio che porti in grembo non è che uno strumento per curare nostro figlio- i suoi occhi color ghiaccio mi gelavano il sangue mentre pronunciava quelle parole maledette -ti ha violata per raggiungere il suo scopo e tu, stupida com'eri non hai neanche sporto denuncia. Ma forse, in fondo al cuore, lo hai voluto tu. Te lo sei cercato-

***

-Non lo volevo! Io non volevo quel bambino David!- scoppiai tra le sue braccia -mi fa schifo e

mi fa schifo il pensiero di averlo tenuto per nove mesi dentro di me!- dissi in preda ad una crisi isterica, quella sera cenammo a casa di Dave con i suoi genitori, e le parole di sua madre e la visione di suo padre mi fecero bere qualche bicchiere di troppo, era l'unico modo che trovai per affrontare quella serata, non potevo dirgli tutto, era malato, non potevo accollargli anche il peso che mi portavo dentro da anni.

-Ma che stai dicendo Lindsay? Che diavolo dici? Fino a ieri lo amavi e lo trattavi nel miglior

modo possibile... sei solo ubriaca, le tue parole non hanno peso per me-

-No, non lo volevo... non lo volevo- guardai lo sguardo di David e sembrava preoccupato, i miei

ricordi erano sfocati quella sera ma quelle parole... come potrei dimenticarla sapendo che Jerry

era dietro la porta ad origliare, aveva solo quattro anni. Ma quando affrontai il discorso malattia

David si chiuse in sé stesso, non ne avevamo mai parlato, rifiutava il suo male e rifiutava ogni genere d'aiuto che non fosse di un medico e ciò che c'era stato tra di noi era svanito.

-Tieni- alzai lo sguardo e lo vidi davanti a me, una figura sfocata vicina, troppo vicina, solo quando mi porse un fazzoletto capii il motivo per cui vedevo poco.

"Oh Lindsay... non avresti dovuto... non dovevi piangere" e soprattutto... non davanti a lui.

-Grazie- dissi in lacrime.

Si sedette al mio fianco ma non troppo per sfiorarmi e rimase in silenzio mentre le lacrime gettate

dal più profondo e sentito dolore scorrevano ininterrottamente sul mio viso, perché era lì al mio

fianco? Cosa voleva da me? Perché mi sentivo così strana e perché stavo piangendo??

Respirai a fondo cercando di calmarmi e di placare i singhiozzi e i gemiti continui finchè sentii un tocco caldo e gentile avvolgermi il viso e trasportarmi fino in fondo al tunnel buio e pieno di ricordi e sofferenza.

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