✔ 07. Stanza 412

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Dopo un'altra settimana di permanenza, avevo capito che l'unica soluzione per riprendere in mano la mia libertà era anche quella che mi avrebbe richiesto più sacrifici: collaborare.
Con l'aiuto di Clerk, assunsi il perfetto atteggiamento della perfetta paziente-cavia. Avevamo passato una giornata intera nella mensa a discutere della questione, e mi aveva illustrato un piano con poche, ma essenziali, regole per non farmi uccidere:
Regola numero 1. Niente contestazioni; stare al gioco, secondo Clerk, è fondamentale. Ogni cosa a cui verrai sottoposto dal sistema non deve, e sottolineò deve, essere dibattuta.
Regola numero 2. Consenso; tutto ciò che Janson mi richiederà dovrà essere accettato, senza nessun ripensamento.
Regola numero 3. — nonché quella più essenziale — non fare stronzate; la buona condotta e il rispetto delle regole porta ad un ampliamento, non grossolano, delle proprie libertà.

Ebbene, se all'inizio mi sembrava una cazzata o una brutta idea, ci fu un momento in cui mi fermai a riflettere e arrivai alla conclusione che, in realtà, non lo era: non ero più incatenata come un Pitbull da tenere a bada, le guardie non mi seguivano ovunque andassi e, soprattutto, ero libera di vagare per la struttura.

Ci fu una mattina, poi, in cui mi svegliai e decisi di rovinare tutto.

.

Con il sole ormai alto nel cielo, decisi di spostarmi dalla mia stanza per andare a trovare Clerk in sala mensa, emozionata nel raccontargli i traguardi raggiunti grazie al suo geniale piano.
Ciò che mi divideva dalla mensa era una svolta a sinistra, e fu quella a cambiare i miei piani.
La voce di una dottoressa, che ormai avevo imparato essere quella di Rose Parks, mi giunse all'orecchio e non potei fare a meno di ascoltare.

«Ho bisogno di un file dalla stanza 412» comunicò alla radiolina nelle sue mani «Fai attenzione di non essere visto da nessuno.»

La voce ovattata del dottor Chester rispose affermativamente alla richiesta della donna, informandola che era già uscito dal suo ufficio.

Nel mio cervello qualcosa mi disse che, in quella richiesta apparentemente innocente, c'era di più. Così tornai sui miei passi e, senza fare il minimo rumore, mi sbrigai a trovare il dottor Chester.
Lo trovai nel corridoio 4 della seconda ala, a pochi metri dal laboratorio dove solitamente lavorava Teresa. Lo inseguì durante il suo percorso, mentre nella mia testa mi domandavo se quella fosse una buona idea, se ne sarebbe valsa la pena. Ma fu decisamente tardi per tornare indietro quando notai un grande cartello che indicava l'ala x, infondo al corridoio.
Il dottore scomparve, svoltando a destra, mentre io aspettai pazientemente il mio momento per entrare in azione.
Quella parte dell'edificio non era adibita a nessuno se non hai dottori e a Janson; era un'aria tetra, con le luci a neon che, ogni tanto, sfarfallavano, creando un'atmosfera tenebrosa. Le pulite pareti bianche facevano spazio a numerose porte, tutte in metallo, e su di esse una targhetta con inciso il numero corrispondente. Vicino alla stanza numero 398 c'era l'entrata per i condotti dell'aria, ovvero il mio biglietto d'entrata per la famosa stanza 412.
Mi inginocchiai sul pavimento e tirai la lastra in ferro verso di me, aprendomi l'accesso ai condotti. Mi ci infilai dentro, strinsciando sul pavimento, e la richiusi alle mie spalle.
Cominciai ad avanzare, facendo attenzione di non fare troppo rumore con le ginocchia sull'acciaio, in cerca del dottor Chester attraverso le grate.
Nella mia mente, nel frattempo, il soliloquio di Amleto cominciò a recitarsi:

Essere o non essere, questo è il dilemma:
se sia più nobile nella mente soffrire colpi di fionda e dardi di atroce fortuna o prender armi contro un mare d'affanni e, opponendosi, por lor fine?”

C'era stato un momento in cui, leggendo Amleto, mi ero chiesta come si potesse essere tanto in conflitto con sé stessi da mettere in dubbio persino le proprie decisioni. Ma adesso era chiaro; in quel preciso momento del testo, Amleto si interroga sulla giustizia e l'ingiustizia dei suoi atti, lasciando al lettore lo spazio di decidere insieme a lui ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Ma cos'è giusto? E che cos'è sbagliato?
All'uomo non è mai stata data una guida su come funzionasse il mondo, su come funzionasse l'uomo stesso e le relazioni che devi intrattenere con lui... ecco perché gli esseri umani, quando devono scegliere, si trovano davanti ad un bivio con una benda sugli occhi. E a quel punto, è più nobile scegliere la via giusta o quella sbagliata, pur senza sapere quale delle due sia giusta e quale sia sbagliata?
Io, nel preciso istante in cui aprì la grata dei condotti che portava direttamente nella stanza 412, mi sentivo esattamente come Amleto: confusa, in conflitto con me stessa, incerta sulla giusta cosa da fare.
E proprio come Amleto, possedente di una coscienza e di una capacità di scelta, decisi di non tirarmi indietro di fronte alla possibile scelta sbagliata.

Morire, dormire... nient'altro, e con un sonno dire che poniamo fine al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali di cui è erede la carne: è una conclusione da desiderarsi devotamente. Morire, dormire. Dormire, forse sognare.”

Cominciai a guardarmi attorno, incerta di dove mettere le mani: c'erano cartelline di ogni colore e grandezza, tutte riguardo a un argomento differente.
Poi ci fu un momento, come un toro in una corrida, in cui vidi rosso e inevitabilmente fu solo quello che potei vedere: una cartellina di un carminio brillante, poggiata alla meglio su una scrivania. La presi tra le mani e passai il dito indice sulla scritta impressa nella prima pagina.

Labirinto, Gruppo A.

Ma la mia curiosità mi uccise quando i miei occhi si posarono su uno dei documenti contenuti al suo interno. Lessi il contenuto più volte e sgranai gli occhi, ancora incredula riguardo a ciò che avevo appena letto. Gli occhi mi si caricarono di lacrime e mi lasciai cadere la cartellina dalle mani, lasciando che tutti i fogli si sparpagliassero sul pavimento. Mi portai una mano alla bocca per contenere i miei singhiozzi, mordendomi il dorso per fermarmi dall'urlare. Il mio cuore si ruppe in mille pezzi e sentì tutto il peso del mondo crollarmi sulle spalle, schiacciandomi con le sue macerie ed impedendomi di respirare. Schiacciai il mio corpo contro il muro e ci scivolai contro, continuando a fissare il documento, ormai vagante sul pavimento, con sprezzo — la carta avrebbe potuto prendere fuoco tanto era l'odio con cui lo stavo fissando.

Proprio come Amleto avevo fatto la scelta sbagliata e, proprio come Amleto, non sarei potuta tornare indietro per prendere la strada giusta.

Così la coscienza ci rende tutti codardi,
e così il colore naturale della risolutezza
è reso malsano dalla pallida cera del pensiero, e imprese di grande altezza e momento per questa ragione deviano dal loro corso e perdono il nome di azione.



𝗧𝗛𝗘 𝗖𝗥𝗔𝗡𝗞𝗦 ━ 𝖙𝖍𝖊 𝖒𝖆𝖟𝖊 𝖗𝖚𝖓𝖓𝖊𝖗Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora