✔ 11. Dopo tanto tempo

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Corsi più velocemente che potei tra un corridoio e l'altro, notando con stupore che il piano era stato completamente messo sottosopra: alcune guardie erano a terra, prive di sensi, altre in preda agli spasmi e altre ancora stavano correndo con l'arma sull'attenti. Le due guardie continuarono ad inseguirmi senza sosta, standomi alle calcagna mentre cercavo di seminarle in ogni modo.

Cosa diamine stava succedendo?

Inizialmente pensai che quel protocollo di sicurezza fosse per me, perché quella stanza era off-limits e il suo accesso avrebbe potuto compromettere il futuro del progetto W.C.K.D, ma, fatta eccezione per i due omoni alle mie spalle, nessuno sembrava prestare particolare attenzione a me.

Mi voltai per assicurarmi che la distanza tra me e le guardie fosse abbastanza da permettermi di seminarli da lì a poco. I due invitarono altre guardie ad afferrarmi con un suggestivo "prendetela, idioti!". Iniziai a correre più velocemente e il dolore alla coscia in cui mi avevano sparato cominciò a farsi sentire nuovamente, dopo mesi. E doveva necessariamente non essere un buon segno. Alle mie spalle, diversi rumori di spari e detonazioni elettriche riempirono i corridoi, solitamente così tristi, bianchi e spenti. Alcune delle guardie spararono alla cieca e indirizzarono i proiettili e le scariche elettriche sul pavimento o sulle pareti.
Continuai a correre e, arrivata nell'altra ala dell'edificio, mi inginocchiai a terra, scivolando sul pavimento per nascondermi dietro ad una delle colonne. Diversi corpi erano stesi a terra - alcuni di guardie e alcuni di dottori, scienziati e infermiere - morenti o privi di sensi. Rubai uno dei fucili a scarica elettrica abbandonati vicino ai piedi di una guardia e lo tascinai con me nel mio nascondiglio. Aderì con la schiena al muro, permettendo al mio cuore di rallentare il frenetico ritmo dei battiti causati dalla corsa intensificata. Mi poggiai una mano sul petto, respirando affannosamente, mentre la gamba riprese a fare male nel punto in cui si trovava la cicatrice.
Le guardie si appostarono nel corridoio schiacciandosi contro le pareti e con l'arma carica tra le mani. Si sussurravano tra di loro la direzione da cui iniziare a sparare per circondarmi e mettermi con le spalle al muro.
Non avevo un piano d'attacco, perciò chi volevo prendere in giro? Me l'ero semplicemente data a gambe quando avevo visto quelle guardie avanzare minacciosamente verso di me, contando sul fatto che, grazie a Minho e al resto dei velocisti, avevo sviluppato una buona tecnica di corsa.
Recitai mentalmente un incoraggiamento per me stessa, prima di decidere se era prudente gettarsi nella mischia e iniziare a sparare scariche verso le guardie, nella speranza di non essere colpita a mia volta.
La parte razionale di me si sarebbe presa a schiaffi in una situazione del genere, ma non c'era davvero del tempo per elaborare un piano studiato, giusto? E poi, con la memoria al mio favore, l'ultima volta che avevo dato il via ad una sparatoria cinque contro uno, ne ero uscita con una sola pallottola nella gamba - niente di cui preoccuparsi.

Mi portai leggermente avanti con il busto, schiacciandomi il fucile contro al petto mentre cercavo di mettermi sulle ginocchia. Mi voltai di scatto, spostandomi dalla protezione del muro dietro al quale mi ero rintanata, e sparai un colpo all'uomo che, per primo, rientrò nel raggio del mio mirino. L'uomo si lasciò cadere, in preda alle crisi causate dal colpo secco all'addome.
Mi rintanai dietro al muro, mentre le altre guardie si inginocchiarono per controllare che l'uomo steso a terra stesse bene. Approfittai della situazione per uscire nuovamente allo scoperto e colpire un altro di loro.

«Fatela fuori!» gridò una delle guardie.

Consapevole di non poter affrontare un attacco frontale, scappai verso la fine del corridoio, arrivando di fronte al laboratorio e vicino alle sale monitoraggio dei soggetti. Lì già molti uomini erano distesi a terra, mentre altri presero a sparare in fondo al corridoio, oltre al muro. Io mi schiacciai contro al muro, scivolando contro di esso e accovacciandomi a terra. Le guardie che prima avevano preso ad inseguirmi si unirono agli altri uomini già intenti a sparare verso un bersaglio che non mi era visibile.

Nessuno fece caso alla mia presenza.

I continui spari erano rivolti sempre nella stessa direzione, fino a quando una bomba di scariche elettriche fece crollare il silenzio. Esplose nel bel mezzo del corridoio, colpendo le guardie che lasciarono cadere i fucili mentre, a peso morto, si accasciavano sul pavimento.

Mi alzai da terra, lasciandomi cadere dalle mani il fucile. Almeno una dozzina di uomini erano privi di sensi sul pavimento, e nel centro i rimasugli della bomba esplosa poco prima. Era un marchingegno a scariche elettriche, dotato di propulsore elettromagnetico ad ampia gamma. Aveva causato un'esplosione di energia in grado di mettere al tappeto tutti quegli uomini nel raggio di diversi metri.
Mi inginocchiai sul pavimento, studiando l'arma con curiosità, mentre ancora rilasciava qualche scossa a causa del sovraccarico di energia.

Dei pesanti passi di stivali da mimetica sul pavimento mi fecero irrigidire. Dietro di me, almeno tre uomini avanzavano lentamente nella mia direzione. Alzai le mani sopra la testa, mentre stavo già sull'attenti per darmela a gambe nella direzione opposta.

«Allison.» arrivò in un sussurro. Sulla mia schiena si fecero spazio milioni di brividi.
Mi alzai in piedi, facendomi cadere le braccia lungo ai fianchi. Mi voltai lentamente e sorrisi a tutti denti quando intravidi Thomas con la coda dell'occhio. Accelerai i miei movimenti per ritrovarmi faccia a faccia con Newt, sudato, infilato in una tuta di sorveglianza e con i capelli biondi scompigliati. Lui si lasciò cadere i fucile dalle mani e fece qualche passo verso di me. Sentì gli occhi inumidirsi e le ciglia appesantirsi a causa delle lacrime. Feci anche io qualche passo verso di lui e ci incontrammo a metà strada: due disastri, impregnati di sudore, dal fiato corto e le lacrime sulle guance. Mi passò le mani sul volto, ancora incerto se quella che avesse davanti fossi veramente io o un frutto della sua immaginazione. Feci lo stesso, accarezzandogli dolcemente lo zigomo pregno di sudore.

«Stai bene» sussurrò «Grazie a Dio stai bene.»

Impaziente e stufa di quei piccoli e innocenti tocchi sul volto, mi avventai sulle sue labbra, baciandolo con trasporto dopo tanto tempo, tempo che avevo passato solo a pensarlo e a parlarne con nostalgia. Adesso era lì, era venuto a salvarmi e a portarmi via da quel posto orrendo.
Avrebbe mantenuto la promessa di starmi sempre accanto, e di non lasciarmi mai la mano - e adesso che sentivo la sua forte stretta sulla mia vita, mi tranquillizzai al pensiero che, durante le ultime settimane, non aveva mai smesso di cercarmi.

Una volta che le nostre labbra di separarono, i miei occhi si incatenarono ai suoi. Lui sorrise dolcemente, mentre continuava ad accarezzarmi la guancia con il pollice «Ti amo» sussurrò «Ti amo così tanto.»

«Anche io ti amo, Newt.»

«Per quanto mi guasti interrompere questo bel momento da film» arrivò la voce di Minho dietro di noi «Non mi sembra esattamente il momento giusto per mettersi in ginocchio e dichiararsi amore eterno. Quindi che ne dite se ci spostiamo di qui prima che ci aprano il culo?»

«Dio Santo, Minho» risposi divertita «Mi sei mancato così tanto, non ne hai idea.»

Il ragazzo asiatico sorrise nella mia direzione, facendomi un veloce occhiolino. Mi voltai poi verso Thomas, pronta ad abbracciarlo. Ma il volto del ragazzo presagiva qualcosa di diverso dalla gioia dipinta sul mio volto.

«Allison» tuonò la voce alle nostre spalle «Non vorrai andare via così presto, giusto?»

Janson.

𝗧𝗛𝗘 𝗖𝗥𝗔𝗡𝗞𝗦 ━ 𝖙𝖍𝖊 𝖒𝖆𝖟𝖊 𝖗𝖚𝖓𝖓𝖊𝖗Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora