17. Il prezzo del potere

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È da troppo che il maestro ha smesso di insegnarmi cose interessanti. Mi obbliga a stare ore in questa stupida biblioteca con la testa china sui libri. Fossero almeno libri interessanti... che ne so, storia, arte, lingue esotiche, magia.

Ma no, solo aritmetica e trattati sull'economia.

Mi viene da vomitare.

La settimana scorsa papà ha cacciato l'insegnate di musica perché, a suo dire, mi allontanava dalle cose importanti della vita.

Lo odio.

Odio lui, odio questa città, questo palazzo e odio anche quel perfettino di Matte.

«Devi imparare a comportarti, non sei più un bambino. Prendi esempio da tuo fratello, impara da lui e un giorno sarai un grande uomo, degno del nome che porti.»

Le parole di papà non vogliono sparire dalla mia testa, quella sua aria rassegnata dopo la scenata che ho fatto per avermi distrutto il liuto, infrangendo i miei sogni.

Dovevo proprio nascere in quest'orribile famiglia? Perché gli spiriti hanno voluto che fossi un Darwen? Non me ne frega niente della gestione di una città, degli accordi commerciali, della riscossione dei tributi e di tutta questa burocrazia noiosa e priva di anima.

Non c'è passione nel lavoro della mia famiglia.

Un acuto dolore alla mano mi risveglia e la agito nell'aria, emettendo un verso infastidito e alzando lo sguardo verso maestro Olfir.

Mi scruta esasperato, in piedi accanto a me mentre tiene il lungo bastoncino piatto con cui adora percuotermi.

«Signorino Allan, siete perso nel vostro mondo di fantasia?»

Non credevo sarei mai arrivato a odiare anche il maestro. È stato lui a insegnarmi l'elfico, lui a farmi comprendere quanto fossero interessanti le arti arcane.

Ricordo ancora con quanto orgoglio mi guardava mentre eseguivo i suoi incantesimi; la faccia sbalordita la prima volta in cui gli ho fatto vedere ciò che riesco a fare quando tra le mani ho un liuto. Diceva che ho un talento naturale, rarissimo per gli umani.

E allora perché devo sprecare la mia vita chiuso tra queste mura di marmo? Perché anche lui ora mi tratta come la pecora nera di questa casa?

Metto il broncio e volto il capo dall'altra parte, fisso le enormi librerie, i tomi impilati in ordine maniacale, seguendo le lettere dell'alfabeto.

Tutto è sempre così bianco, perfetto, asettico. Persino il tavolo su cui sto poggiando i gomiti viene lucidato tre volte a settimana, tanto che mi ci posso specchiare.

«Qualsiasi cosa sarebbe meglio che sentirvi parlare di economia.»

Una nuova bacchettata mi sferza un braccio, obbligandomi a rimettermi in una posizione composta, poggiato all'enorme schienale di questa sedia pomposa e con le mani garbatamente giunte sul tavolo.

Quando sarò grande, prenderò quel suo stecco e glielo infilerò su per il cu-

«Invece dovete farvela piacere. È del vostro futuro che stiamo parlando.»

Sbuffo e alzo le iridi al cielo. Il suo tono sconsolato mi infastidisce.

«Maestro, perché? C'è già Matte che sta seguendo le orme di nostro padre, quindi la sorte di Occhio di Mezzo è rosea, no? Vi prego, tornate a insegnarmi la magia!»

Il mezz'elfo dapprima mi scruta, cupo, poi mi dà le spalle e fa qualche passo verso la grande finestra dalla quale la luce del mattino filtra abbondante. Appoggia il bastoncino sul davanzale e unisce le mani dietro alla schiena.

Il Canto della Rosa e del DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora