0. Il mio nome

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Eatiel era in volo già da parecchio e si era riposata giusto nelle ore più buie della notte. Il giorno precedente era partita da Tareah, aveva superato il Mar Mezzo giungendo a Lebrook, per poi virare verso sud; usare le ali di vento non la stancava e ammirare i paesaggi dall'alto era magnifico.

Sentiva di essere nata per volare e non avrebbe più smesso.

Era pomeriggio inoltrato, quando scorse che la strada tra i campi sotto di lei passava dall'essere di semplice terra e ciottoli all'essere formata da pietre verdi che riflettevano i radi raggi solari che s'insinuavano tra le nubi fitte.

Seguì la via di smeraldo, stranamente deserta, per un paio di minuti fino a quando scorse una piccola figura che stava agitando le braccia nella sua direzione, proprio quando le sagome del complesso di templi fuori Teegate si cominciavano a scorgere all'orizzonte.

Rallentò e planò per riuscire a toccare il suolo nel modo più delicato possibile e si ritrovò davanti a un umano in armatura completa, con uno sgargiante mantello color giallo e porpora e una spada alla cintura; i lunghi capelli castani erano spettinati, sporchi, e il suo viso era pallido, ricoperto da un alone grigiastro. Eatiel sapeva che solo i paladini di Deladan indossavano mantelli tanto vistosi; cosa ci faceva quell'uomo in solitudine in mezzo alla strada?

Non appena arrivò poco distante da lui, l'uomo alzò le braccia al cielo.

«Per la grazia e l'amore di Deladan, finalmente le mie preghiere sono state ascoltate!»

Eatiel, perplessa e con le sopracciglia ravvicinate, gli si avvicinò.

«Cos'è successo? Perché siete così stravolto?»

Il paladino la indicò.

«Voi! Voi giungete dal cielo con ali di drago e orecchie elfiche! La vostra bellezza non mi lascia dubbi: è Deladan che vi manda per salvarci tutti!»

Io non gli darei retta.

Dooko rise nella sua testa, lasciandosi sfuggire quel commento irriverente che Eatiel non ascoltò. Nel viaggio in volo, non avendo molto altro da fare, lei aveva parlato a lungo con il drago, imparandone a poco a poco la lingua e ascoltando i racconti sulla sua terra natia e su come avesse accumulato le sue ricchezze. Era ormai tranquillo, rassegnato alla condizione di mera coscienza nel corpo dell'elfa e lei ne era felice.

Ma ora aveva altro a cui pensare.

Con le ali chiuse sulla schiena, l'emissaria gli poggiò le mani sulle spalle e lo fissò nelle iridi scure.

«Vi prego, calmatevi. Da chi dovrei salvarvi?»

Lui cadde in avanti, aggrappandosi alla sua veste.

«Da quell'essere immondo! Un mostro spregevole, terrificante, vomitato dalle profondità del suolo per distruggere ogni cosa e portare il caos!»

Eatiel provò a indietreggiare, stupita e spaventata dall'irruenza di quel paladino, ma lui non la mollò e continuò a parlare infilando una parola dietro l'altra con rapidità.

«Il mostro è giunto la sera di tre giorni fa e si è diretto dal sommo cultista di Varodil. Lui ha chiesto che i tre templi venissero evacuati, ma io mi sono nascosto e sono rimasto: deve sempre esserci un soldato a protezione della casa del tempio. Alle prime luci dell'alba, la terra ha tremato con violenza e il tempio oscuro è collassato su sé stesso. Persino le dimore di Deladan e Galadar hanno subìto danni e io sono vivo per miracolo, dato che un muro stava per cadermi addosso!»

Eatiel riuscì a liberarsi dalla presa dell'umano e si alzò un po' in volo per poter essere fuori dalla sua portata. Lui, ancora con le ginocchia sul sentiero, si portò le mani alla testa e la scosse, col viso ormai paonazzo da quanto stava gridando.

«Sono fuggito e più nessuno è riuscito ad avvicinarsi! Nessuno! Il mostro lo impedisce! L'ultima volta che ho visto il sommo Alerdhil, era steso prono a terra, tra le rovine del suo tempio e l'essere delle tenebre fermo accanto a lui.»

Quel racconto delirante non le piacque per nulla; Eatiel era stata anche troppo ad ascoltare il paladino.

«Grazie.»

Si spinse in avanti, prendendo quota per vedere meglio e velocizzando l'andatura col cuore che le batteva frenetico in petto. Come temeva, l'uomo non aveva detto il falso: più lei si avvicinava, e più diventava chiaro che delle tre imponenti strutture che avevano formato il complesso di templi di Teegate ne erano rimaste solo due, poiché il marmo nero che componeva il tempio di Varodil pareva essersi completamente sbriciolato, formando un pesante strato scuro sui ciottoli pressocché ovunque.

Arrivando alla piazza, Eatiel notò che la statua di Deladan era crollata e decise di non prestare attenzione ai due templi ancora in piedi, poiché aveva ormai visto ciò che stava cercando.

Si fermò a mezz'aria proprio sopra il luogo dove ci sarebbe dovuta essere la più grande casa dello spirito della magia e, con le palpebre socchiuse e l'anima preda di una rabbia crescente, fissò la piccola figura seduta accanto al corpo dell'elfo biondo che era stato un sommo cultista.

Tutto fuorché delicata, piombò al suolo a qualche metro davanti all'emissaria di Varodil e lo spostamento d'aria fece innalzare intorno a lei la cenere del tempio, che restò a fluttuare in numerosi turbini prima di ricadere come fine neve sporca.

La piccola elfa oscura se ne stava a capo chino sul cadavere di Alerdhil, la tunica nera era lisa, stracciata in più punti, e i capelli bianchi non erano abbastanza voluminosi per nasconderle il viso serio e i grandi occhi spalancati ricolmi di lacrime, non solo quella di Alanmaeth.

Alerdhil era stato suo allievo, aveva detto, quindi perché era morto? Perché lei l'aveva ucciso? Se la storia del paladino era vera, lei doveva essere da più di due giorni ferma in quella posizione.

Eatiel non capì, ma la collera le impedì di fare domande: basta perdere tempo.

Allargò le braccia, richiamando a sé il potere e circondandosi di elettricità saettante intorno agli arti, prima di parlare, autoritaria, riscoprendosi in possesso d'informazioni che non pensava di avere.

«Shi'nnyl Inthuulurl, emissaria di Varodil, ascendi, adesso! O preparati ad affrontare me, affinché ti costringa a farlo.»

Con lentezza estrema, la bambina alzò la testa e sembrò essersi accorta di lei giusto in quel momento; l'espressione afflitta si colorò di rabbia mentre si alzava, stringendo ai fianchi i piccoli pugni. Un crescente potere arcano e spirituale al tempo stesso crebbe in lei e sgorgò da ogni parte, dissipando la polvere.

«Quante volte te lo devo dire, eh, stupida elfa?»

Le iridi violacee s'infuocarono d'odio e lei indicò Eatiel, liberandole addosso la sua furia.

«Il mio nome è Axsa!»

Il Canto della Rosa e del DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora