35. Quando cantano le anime (parte 2)

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La magia si dissolse e Allan perse fiato e parole non appena vide Jaira trafitta dall'arma del principe.

Venne colto dai fremiti e la gola si fece secca di colpo, costringendolo al silenzio per un lungo interminabile secondo, finché lei non piombò al suolo. Fu allora che Allan gridò, incurante dei nemici ora liberi che, presto, avrebbero potuto sopraffarlo.

Doveva raggiungerla e curarla, nulla era più importante. Corse e giunse in scivolata accanto a lei; per riuscire a girarla supina dovette abbandonare Luther a terra, poi afferrò la spada per l'elsa e provò a estrarla dal suo corpo, ma non ci riuscì.

Perché era così debole? Lui era il portatore del liuto arcano, cazzo! Avrebbe potuto distruggere la terra e il cielo, conquistare le città e regnare sulle ceneri del mondo. Eppure gli era impossibile compiere un'azione tanto semplice.

«Jaira, guardami! Non andartene, Jaira! Resisti!»

La voce gli fuoriuscì tremula mentre le mani si sporcavano di sangue; le sfiorò il viso, avvicinandosi per parlarle, ma lei spirò col suo nome tra le labbra, prima che Allan potesse poggiare la fronte sulla sua.

Non voleva crederci, eppure era quella la realtà: anche togliendo la lama, il cuore di Jaira era ormai stato trafitto.

Allan ringhiò mostrando i denti con gli occhi che bruciavano e le corde vocali ansiose di vibrare, di lasciarsi andare in un urlo che però restò sopito in lui, trattenuto dalla cieca furia che non fece altro che accrescere l'oscurità portata in superficie da Luther; a differenza delle altre volte se ne rese conto, ma non fece nulla per fermarla.

Chinato a spalle curve sul corpo della guerriera che era stata sua per troppo poco tempo, Allan sentì le persone che aveva ammaliato muoversi senza fretta, forse consapevoli che non c'era più nulla per cui lottare, visto quanto lui fosse distrutto.

Qualcosa non andava, però, perché il corpo di Othen non si era ancora riverso al suolo.

Perché?

Jaira si era sacrificata per ucciderlo e gli aveva inferto una ferita mortale. Allan alzò il capo e dovette stringere i pugni impegnati a carezzare la pelle della donna, poiché quell'infido stronzo aveva appena finito di bere qualcosa da una boccetta di vetro e, sebbene fosse in buona parte ricoperto di sangue, lo squarcio sul suo collo si era rimarginato.

Othen era vivo, era in piedi e lo fissava ansante con gli occhi lucidi.

No, Allan non poteva accettarlo.

Il traditore doveva morire e poi bruciare nell'oltretomba in eterno.

«Othen...»

Pronunciò quel nome con un verso gutturale quasi animalesco e con la mano sinistra ricercò il manico di Luther, mentre la destra si apriva davanti a lui, verso l'infame bastardo.

Il vociare alle sue spalle si fece assordante, così come lo sferragliare di armi e armature, ma nessuno avrebbe potuto fermare Allan, ora che non aveva motivo per tenere rinchiuso nell'anima il suo potere distruttivo. Ne sarebbe stato consumato o sarebbe precipitato nell'oscurità senza più fare ritorno, ma non gliene fregava un cazzo, perché Othen doveva morire e quello era l'unico modo.

Allan avrebbe raso al suolo l'intero castello se fosse servito a disintegrare quel lurido traditore.

Spalancò quei portoni in sé stesso e lasciò che la magia fluisse in lui, richiamandola anche dal liuto per essere certo che del principe non restasse neanche la polvere.

Oh, sì, sarebbe stata l'esplosione più bella e devastante mai vista prima!

Mentre il palmo di Allan prese a brillare di una luce intensa e purissima, il principe degli infami gettò a terra la boccetta ed emise un verso aspirato di cupo terrore, frugando nella borsa da cintura per poi afferrare con rapidità un cristallo bianco pulsante di magia; lo strinse con entrambe le mani, prima di girarle in senso inverso.

Il Canto della Rosa e del DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora