12. Ogni buco è buono (parte 2)

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Allan si era camuffato prendendo in prestito l'aspetto di uno dei marinai senza impegnarsi un granché e aveva lasciato la nave per incamminarsi tra le vie della città. Con sé non aveva né la borsa né lo stocco, ma Luther sarebbe bastato per ogni evenienza.

Aveva bisogno di solitudine per sbollire e camminare lo aveva sempre aiutato. Delle nubi avevano coperto la falce di luna e la notte si era fatta scura; Allan aveva dovuto accontentarsi di una torcia tradizionale, anche se il fuoco illuminava molto meno rispetto alle sue luci incantate.

Immerso nei meandri della mente e canticchiando a mezza voce per cercare serenità, aveva percorso vie che non conosceva, addentrandosi in quartieri che mai aveva visto e perdendo il senso del tempo.

Quand'è che aveva incrociato l'ultima persona? Si riscosse e si guardò intorno, rendendosi conto di trovarsi in un vicolo a ridosso delle mura interne della cittadella in una zona piuttosto malfamata. Alzando lo sguardo, notò che non dovevano esserci guardie a pattugliare i camminamenti poiché l'oscurità era totale, quindi poté concentrarsi sul cercare di capire come fosse arrivato in quel luogo e in che modo tornare al porto.

I ciottoli a terra erano malmessi e le pozzanghere regnavano sovrane un po' ovunque, così come le pareti in legno fatiscente di chissà cosa fossero quei bassi locali senza finestre. Zittendosi, aveva percepito il silenzio riempire ogni angolo e riusciva persino a sentire i suoni ritmici degli stivali di pelle sulla pietra e il suo stesso respiro.

Che bell'idea, furba soprattutto, quella di avventurarsi da solo in strade mai percorse prima, di notte. Contando che era un ricercato e in giro c'era una negromante che, con ogni probabilità, lo voleva morto, Allan aveva proprio deciso di giocare a dadi con Ilimroth.

Sospirò, imboccando un vicolo che gli sembrò più ampio degli altri.

Jaira lo aveva fatto uscire di senno e si sentiva ancora offeso nel profondo per ciò che gli aveva detto. Possibile che lei non capisse che a lui non importava delle ferite sul suo corpo? Terribile come credesse che fosse una persona tanto superficiale. Forse, però, Jaira dopo l'esilio non aveva conosciuto altro.

Allan aveva fatto male ad andarsene: avrebbe dovuto provare a parlarle, ma con lei era tutto dannatamente difficile. Non era abituato a essere confuso, visto che di solito era maestro nel comprendere e persino manipolare i sentimenti umani. I suoi desideri gli erano sempre stati molto chiari e avere la testa piena di paranoie lo straniva, quasi fosse tornato un ragazzino incapace di ponderare delle decisioni sensate. Considerando la situazione in cui si era cacciato, stentava a riconoscersi.

Borbottando per lenire quel silenzio e fissando a terra per non entrare nelle pozzanghere, per poco non andò a sbattere contro un muro.

«Perfetto, un vicolo cieco.»

Bisbigliò, irritato, osservando come in quella zona sembrasse normale vivere con le finestre sprangate e tra pareti umide e marcescenti. Girò i tacchi, ma si bloccò poiché a pochi metri da lui si stagliava una figura che lo stava osservando, sorridendo con volto ambiguo. Era una donna, una golunnar dalla pelle giallastra e con una folta chioma di capelli rossi che contrastava parecchio con le corna ricurve che le partivano dalla fronte. Indossava degli attillati pantaloni in pelle e un corpetto che non nascondeva le curve generose, ma Allan non riusciva a togliere gli occhi dalla lunga coda serpentina che ondeggiava dietro di lei, né dai pugnali stretti tra le sue dita.

«Guarda un po' cosa mi ha portato la notte!»

Lei parlò con voce calda e pulita, avvicinandosi a passi lenti. Avanzava sicura di sé e ogni sua azione pareva rivestita dal velo della minaccia, ma era sola. Allan provò a capire se non ci fossero altri esponenti di quella razza pronti a fargli un'imboscata, ma per quanto si sforzasse non vedeva nessun altro.

Il Canto della Rosa e del DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora