29. Più semplice di vivere (parte 2)

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«Eatiel!»

Allan si svegliò, urlando con voce roca il nome dell'elfa senza sapere perché.

Avrebbe voluto mettersi seduto, ma il dolore al torace era troppo intenso e dovette restare supino su quel... materasso? Tastò coi polpastrelli la morbidezza sotto di sé, rendendosi conto che aveva il capo adagiato su un cuscino basso e un lenzuolo a coprirgli il corpo nudo.

Gli girava la testa talmente tanto da appannargli la vista e i contorni del mondo gli restarono oscuri per un po', mentre una terrificante nausea gli riempiva le viscere, unici organi pieni di qualcosa, in effetti, dato il vuoto incolmabile che percepiva nel petto.

«Ehi, incantatore, bentornato.»

Una calda voce femminile riempì il silenzio e Allan non dovette sforzarsi per ricordare dove l'avesse già sentita. Voltò il capo verso il suono e scorse la sagoma della donna, i capelli ricci, le corna ricurve, mentre lei gli scostava un ciuffo dalla fronte.

«Daianira, cos—»

Un colpo di tosse lo costrinse a tacere e la golunnar gli posò un indice sulle labbra, sibilando con dolcezza.

«Hai una ferita che ti passa da parte a parte, incantatore. Non affaticarti. Non so come sia possibile che tu sia vivo, ma hai bisogno di riposo.»

A poco a poco, le pupille misero a fuoco il piccolo ambiente che lo circondava: la camera era illuminata da una candela posta su una cassa bassa accanto al letto e non c'erano finestre per capire che ore fossero. Sulla cassa c'era anche un otre ricurvo, forse contenente dell'acqua, e l'odore del legno delle pareti e dei pavimenti non riusciva a sovrastare quello del sangue; c'era quiete, una quiete innaturale.

Daianira si era messa su uno sgabello accanto a lui e l'osservava con gli angoli delle labbra alzati e le iridi gialle che si muovevano tra i suoi lineamenti, mentre gli carezzava la testa quasi fosse un bambino. La criniera di capelli rossi le circondava il viso angelico, per nulla mutato dall'ultima volta che l'aveva vista, e pareva indossare ancora attillati abiti di cuoio.

Dietro di lei, in un angolo della stanza, Allan scorse un tavolo quadrato e un'altra figura seduta lì accanto: era un uomo, no, un golunnar dalla pelle bronzea e lunghe corna dritte a spuntargli dalla fronte, svettanti tra ciocche di capelli castani che gli crescevano fino alle spalle. Stava a capo chino, con la schiena curva in avanti, le mani unite e i gomiti sulle ginocchia. A coprire un corpo snello e tonico, aveva pantaloni scuri, stivali di pelle e una camicia nera con le maniche rigirate fino ai bicipiti; un'armatura di cuoio gli proteggeva il busto. Accanto a lui, tra le assi del pavimento, giacevano un arco lungo e una faretra ricolma di frecce.

La donna si voltò un istante, prima di tornare concentrata su Allan.

«Ti presento Lucius, è lui che ti ha salvato.»

Il golunnar alzò appena gli occhi, poi si portò due dita alla fronte in quello che Allan interpretò come uno strano gesto di saluto e le memorie di ciò che era successo tornarono prepotenti.

Il vicolo, la trappola, Zellania, Othen... lo avevano impiccato, eppure eccolo ancora lì, a respirare tra i vivi.

Sorrise, guadagnandoci solo un nuovo colpo di tosse; doveva essere nato sotto una buona stella o una molto sadica, a seconda dei punti di vista.

Ricapitolando: Jaira era sotto al controllo mentale della negromante, Eatiel era stata spedita chissà dove, Othen era un lurido traditore e lui aveva la gola secca, il fiato corto e delle fasciature intorno al torace. Luther non c'era e il vuoto lo stava consumando.

Perfetto, Allan avrebbe sistemato tutto una cosa alla volta.

Era imprescindibile ringraziare l'uomo che l'aveva salvato e cercare di capire come ci fosse riuscito, ma prima doveva tornare padrone del suo corpo e della parola. Con uno sforzo immane, posò i palmi sulla ferita e concentrò il potere arcano, conscio che riuscire in quell'incantesimo era il primo fondamentale passo per il cammino che si stava già figurando in testa.

Il Canto della Rosa e del DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora