29. Più semplice di vivere (parte 1)

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Lo squarcio nella realtà si chiuse dietro di lei e i muscoli tornarono a ubbidirle.

Era buio, faceva freddo, ma Eatiel non sentì nulla che non fosse la cupa e semplice disperazione. Si trovò su un terreno in pendenza e si accasciò nell'erba, in ginocchio, col busto abbandonato in avanti, un braccio a coprirsi il volto e l'altro pugno stretto in avanti.

Gridò.

Gridò con tutto il fiato che le avevano impedito di spendere in quel vicolo a Neley; gridò la sua frustrazione, la sua impotenza, la sua stupida ingenuità.

Gridò e fece eco ovunque, avanti a lei, intorno a lei, dentro di lei.

Sedici voci si erano unite alla sua, afflitte, entusiaste, meste, crudeli.

Restò immobile con lo sguardo perso tra i fili verdi a pochi centimetri dal viso anche quando finì la forza di urlare, con la gola in fiamme e gli occhi tanto liquidi da pensare di essere sott'acqua.

Che senso aveva muoversi? A che scopo lottare? Non c'era stato nulla di vero nella sua vita.

Ilimroth lo aveva detto con chiarezza: era stata scelta lei come emissaria perché, tra tanti mortali sfortunati, era stata l'unica a resistere alla maledizione. Aveva passato l'infanzia additata come assassina, quando invece era stata la morte stessa a prendersi sua madre per donarle il primo spettro.

Aveva passato l'adolescenza confidando di poter vivere serena, per mare con il padre, ma ricordava fin troppo bene cos'era successo nell'incidente che aveva fatto naufragare la loro nave; aveva creduto di esserne involontariamente stata la causa, ma non era vero. C'era stato vento, sì, un assurdo uragano di vortici d'acqua, aria e oscurità.

Possibile non ci avesse mai riflettuto prima? L'oscurità era giunta dal nulla, come l'uragano, così come il fuoco che si era mangiato la nave: non poteva essere normale.

Quell'oscurità aveva un nome e quel nome era Varodil.

Lui e Serendhien quella notte avevano lottato ed Eatiel aveva perso ogni cosa. Ne era certa, così com'era certa che Othen l'avesse solo usata. Non ne comprendeva la ragione, ma era stata Zellania a volere che s'incontrassero e c'era riuscita.

Il vento non era mai stato un amico, anzi, era stato lo strumento attraverso il quale Serendhien era riuscita a controllarla, a renderla buona e ubbidiente.

Lo odiò.

Eatiel detestava gli spiriti e lui, sì, anche Othen.

Non esisteva il destino, lei non era migliore degli altri, non era più del semplice contadino che smuove la terra o del fabbro che batte sull'incudine.

Eatiel era stata spinta a pensare di non avere scelta, marionetta di entità troppo potenti, quando invece era stata una semplice umana a guidare le sue azioni.

Shi'nnyl aveva ragione: la piccola elfa oscura aveva fatto bene a ribellarsi e usare l'arma degli spiriti a suo piacimento, sottraendosi a quel giogo tirannico.

Sì, Eatiel aveva creduto di non avere scelta, ma si era sbagliata di grosso. C'era sempre una scelta, e lei ci era arrivata troppo tardi.

Si era donata al principe e lui l'aveva tradita, aveva ingannato tutti, aveva ucciso Allan.

Nuovi singhiozzi proruppero incontrollabili, assieme alla consapevolezza di aver trascinato due innocenti in una lenta trappola inconsapevole.

Jaira, Allan... loro non c'entravano niente.

Conoscendo Zellania, era probabile li avesse messi in mezzo perché erano nel posto sbagliato al momento sbagliato, nulla di più.

Che li avesse scelti prima, invece? No, in che modo?

Il Canto della Rosa e del DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora