20. La caduta (parte 1)

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Male, quell'incontro era cominciato proprio male.

«Allan!»

Othen lo chiamò e il bardo si sentì mancare nel vedere tutte e dodici le guardie reali avvicinarsi a loro a passo svelto da più di una direzione.

Dodici.

Dodici erano tante, erano troppe.

Doveva concentrarsi, focalizzarsi su di loro in modo che Othen e i reali non venissero influenzati dalla musica e quel fattore rendeva le cose ancora più difficili.

Suona, stupido umano, suona!

In una situazione come quella c'era proprio bisogno di insultarsi?

No, quella non era la sua voce, non solo; era la prima volta che Luther lo offendeva. La stessa voce che l'aveva attirato, che gli aveva narrato le leggende, ora lo redarguiva. Una cosa incresciosa, una sconfitta terribile per il suo orgoglio.

Producendo le prime note, Allan si mise di schiena rispetto al principe in modo da guardare i soldati in carica verso di loro. Mentre dalle labbra il canto in elfico si librava a riempire gli spazi, la testa era occupata a osservare ognuna delle sue vittime, le pupille che saettavano a destra e a sinistra per mantenere un contatto visivo con ognuno di loro.

Si stava sforzando per attingere unicamente dalla sua forza arcana, quella vera, quella pura, distante dal caos generato dalla rabbia o dal potere sconfinato insito in Luther, prorompente ma fugace, incontrollabile. Ammaliare per lui non era difficile e lo aveva fatto così tante volte da renderla una cosa abituale. Agire sulla mente di due, cinque o dodici persone, cosa cambiava? La concentrazione, ecco cosa; il fatto che gli sarebbe stato impossibile passare al livello successivo e mettersi a ordinare alcunché, troppo impegnato a mantenere il controllo su tutti.

Le guardie si fermarono a guardarlo, ma non parevano estasiate e tennero le armi in pugno, restando salde in posizione eretta.

«Avete portato un viscido ammaliatore, un servo degli inganni? I suoi sforzi saranno inutili!»

La voce di Re Helmund gli giunse furente, ma Allan non poteva farci caso: la minima distrazione avrebbe potuto farlo vacillare e il suo incanto stava danzando su un filo sottilissimo.

«Non è importante, vostra maestà. Vi supplico di ascoltarmi. C'è stata una congiura ai miei danni, poiché è stato mio fratello Sylas ad assassinare il re, dandomi la colpa.»

Allan sentì Othen muovere qualche passo verso il trono e sperò che quel tono accorato e sofferente bastasse a impietosire il sovrano.

«Vi ho riconosciuto, principe Othen Reah, ma le faccende del vostro regno non mi riguardano e il modo in cui vi siete presentato al mio cospetto è oltraggioso.»

Allan non avrebbe dovuto ascoltare, ma gli era impossibile. Aveva cominciato a sudare a causa dello sforzo del continuare a cantare, prestando attenzione alle guardie e tentando di estraniarsi dalla conversazione che stava avvenendo dietro di lui. Un paio di uomini scossero la testa, riacquisendo il libero arbitrio per un istante, prima di venir catturati di nuovo.

«Perdonatemi, l'ho fatto solo perché non posso mostrarmi. Sylas ha di certo riempito anche Rosendale di sicari pronti a uccidermi e devo dissentire sulla vostra estraneità alla faccenda: è arrivato a uccidere nostro padre per avere il potere, credete che si fermerà?»

Ci fu un istante in cui la dolce melodia di Luther e la voce di Allan furono gli unici elementi a riempire l'ambiente, poi Re Helmund si fece pensieroso.

«Quindi voi irrompete nel mio palazzo, soggiogate le mie guardie, terrorizzate mia moglie, tutto per chiedermi un'alleanza?»

«Sì. Voi siete un uomo d'onore e confido che abbiate a cuore la pace e la giustizia.»

Il Canto della Rosa e del DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora