20. La caduta (parte 2)

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Jaira aveva faticato a dormire.

Condividere il letto con l'elfa, vedere il suo corpo nudo sotto alle lenzuola di lino... Era stato difficile resistere agli impulsi. Aveva guardato il meno possibile e aveva spento tutte le candele a parte una, prima di spogliarsi a sua volta; non voleva che lei scorgesse il reticolo intricato delle cicatrici delle frustate che le segnavano la schiena, i glutei, le cosce.

Era rimasta sdraiata a letto supina, lontana da lei, col volto girato a fissare il muro nella penombra della camera. Eatiel le aveva raccontato di suo padre, dei viaggi per mare e della tempesta che l'aveva portata ad abbandonare tutto e vivere sola tra gli umani.

Credeva fosse stata colpa sua.

Jaira le aveva risposto a monosillabi, per poi ascoltarla addormentarsi. Non se n'era mai accorta prima, quando avevano dormito nelle tende da campo, ma Eatiel parlava nel sonno. Bisbigliava piano, sembrava una litania ripetuta, e Jaira ci aveva messo più di un'ora a decidersi ad avvicinarsi a lei per comprendere cosa stesse dicendo. Parole sconnesse, parevano dei nomi: Zellania, Uril, Shi'nnyl.

Chissà chi erano. Un nome umano, uno nanico e uno strano che Jaira non era riuscita a identificare.

Anche in quel momento, sdraiate nell'erba a godere dei raggi solari in attesa che Allan e Othen tornassero, Jaira non faceva altro che pensarci.

Alla fine si era addormentata ed era rimasta a letto fino a tarda mattina; si era rivestita e aveva subito cercato Eatiel, trovandola in quello spiazzo erboso, poco dietro la casa in legno dal tetto spiovente di paglia che fungeva da locanda nel piccolo villaggio.

Eatiel pareva pensierosa, preoccupata, e Jaira aveva deciso di accomodarsi accanto a lei in silenzio, aspettando che lei parlasse per prima, se avesse voluto confidarsi. Fu quando il sole raggiunse il punto più alto nel cielo che l'elfa si mise seduta, tenendosi con i palmi aperti tra i fili d'erba e le braccia tese dietro alla schiena.

«È quasi mezzogiorno.» La voce le tremava. «Ho paura, Jaira. Mi sento pesante e gli spettri gridano più del solito.»

La guerriera la imitò e abbandonò la posizione supina, abbracciandosi le ginocchia e curvando le spalle.

«Temi per Othen?»

Eatiel si morse il labbro, le pupille fisse in un punto imprecisato all'orizzonte, verso i monti Nargundush a est, che risultavano visibili persino da lì grazie all'assenza di nubi. Alcune vette erano così alte che c'era della neve a imbiancarne le punte, nonostante fosse estate.

«Non solo. Temo per lui, per Allan e anche per te. È come se avessi un blocco nel petto che mi spinge verso il basso. Vuole farmi cadere.»

Jaira sospirò, irrequieta. Avrebbe voluto aiutarla in qualche modo, farla stare meglio, ma non sapeva come. Abbandonò il mento sugli avambracci e si fece coraggio, osservando il suo profilo.

«Tu parli nel sonno, lo sapevi?»

Eatiel corrucciò la fronte e si voltò a guardarla, perplessa, con le labbra dischiuse e i grandi occhi azzurri a insinuarsi nella sua anima. Jaira deglutì e continuò, irrigidendosi.

«Dici dei nomi; non i nostri, però.»

L'elfa alzò lo sguardo, forse a ricercare delle memorie, poi scosse piano la testa, facendo spostare candide ciocche davanti al suo corpo.

«Non saprei. Mi spiace averti disturbata.»

Jaira arrossì e chinò il capo, stringendo più forte la presa sulle gambe per avvicinarle al petto; nulla che Eatiel facesse avrebbe mai potuto infastidirla. Doveva smettere di pendere dalle sue labbra, però, perché non era sano, non le faceva bene.

Il Canto della Rosa e del DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora