23. Requiem dell'abisso (parte 1)

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Sedici spettri: uno in più a unirsi alla sua macabra collezione.

Eatiel lo sentì subito frignare, accolto dall'esultanza degli altri quindici, e quel senso di dolorosa impotenza che la bloccava quando un'anima veniva sottratta a Ilimroth per entrare in lei si protrasse a lungo.

Udì distanti le grida rabbiose di Jaira, vide appena la lunga spada fendere la carne fredda di un uomo, riempirsi di sangue nero e polvere. Si riprese all'improvviso, quando gelide dita si serrarono intorno al suo polso, tirandola per sbilanciarla.

Jaira aveva appena vaporizzato uno dei minatori umani e tirò un potente calcio al nano per allontanarlo, mentre entrambe le mani andavano a stringersi intorno all'elsa dell'arma bianca. Con un singolo colpo dall'alto al basso, tranciò di netto il braccio che voleva impadronirsi di Eatiel e lei si stranì, osservando come quel non-morto non pareva essersene neanche accorto. Era quello senza più il piccone, ancora conficcato nella testa del guerriero appena deceduto, e provò ad allungare l'altro braccio per artigliarla, ma Jaira non glielo permise. Era come posseduta da una furia cieca: il viso tirato, gli occhi blu brillanti sotto alle luci magiche e i denti perennemente in vista. Dopo il braccio, tagliò via anche la testa del non-morto, poi si voltò, caricò il colpo e affondò la lama nel ventre nel nano non appena quello provò ad avvicinarsi.

Eatiel fissò la scena, rapita, rendendosi conto che era la prima volta che vedeva la guerriera impegnata in quella danza di morte; letale, ma in un certo modo aggraziata. Jaira aveva compiuto ogni movimento con precisione, calibrando la sua incredibile forza in colpi mirati, e osservare quei corpi già morti divenire polvere intorno a lei mentre li neutralizzava lasciò l'elfa senza fiato.

Il re di Lebrook era stato davvero uno stolto a privarsi di una comandante tanto capace.

Jaira si guardò intorno, respirando pesante dalle labbra socchiuse, poi sbottò, irritata, tornando sul percorso che avevano appena compiuto.

«Ce n'erano altri due ed è sparito anche Allan. Credo di averlo sentito urlare.»

Gli spettri risero di gusto e l'emissaria sentì le viscere attorcigliarsi, tuttavia s'impose la calma e chiuse le palpebre. Da quando la lacrima era finita su Endel, da quando Serendhien aveva posato le labbra sulla sua fronte, era come se Eatiel potesse sentire i sussurri dell'aria. Era inspiegabile, ma, concentrandosi, percepiva ciò che stava accadendo anche a metri di distanza. Tutto ciò che era toccato dall'aria, a lei si faceva vicino.

Infatti lo sentì, o meglio, li sentì, poiché Allan ci era arrivato prima di lei: il bardo stava parlando con Shi'nnyl.

♪ ♫ ♪

Un'elfa oscura. Una piccolissima elfa oscura. Una terrificante piccolissima elfa oscura.

Allan aveva studiato da autodidatta la loro lingua quando era a Occhio di Mezzo, per spregio, solo per comprendere degli antichi libri che tenevano in biblioteca come pezzi da museo e che suo padre gli aveva impedito di toccare, accrescendo in lui la curiosità. Gli era entrata in testa in modo celere, quasi naturale, e aveva scoperto quanto barbari potessero essere gli esponenti di quella razza abbandonata dalla luce.

Vivevano sottoterra in città oscure, pregavano Meg'golun con convinzione, erano divisi in caste dove i forti sfruttavano i deboli e l'omicidio era tollerato, il più delle volte. Aveva studiato la loro lingua per sete di conoscenza, ma mai avrebbe immaginato di trovarsi di fronte uno di loro.

Lei avanzava inesorabile e il cervello di Allan pareva incastrato in un circolo di memorie orribili; le gambe due pezzi di marmo, impossibili da spostare.

Quella razza era malvagia, lo sapevano tutti, quindi gli parve ovvio che la piccola creatura incappucciata si fosse alleata con Zellania.

Ovvio, sì, anche se l'aveva appena vista distruggere dei non-morti.

Il Canto della Rosa e del DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora