14. Conforto (parte 1)

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L'unica cosa che Jaira voleva era sdraiarsi sulla sua amaca e gridare, sfogarsi in qualche modo, visto che le era impossibile persino allenarsi su quella stupida nave.

Scese le scale e percorse i primi metri del corridoio tra i pali di sostegno fissando le assi del pavimento, prima che un movimento sul fondo la bloccasse, facendole alzare la testa.

Allan era lì, seduto sul loro cassone col corpo rivolto verso un piccolo specchio che aveva appeso alla parete, ma girato di tre quarti a osservare lei, corrucciato. Era spettinato e i ciuffi gli ricadevano sulla fronte, mentre in mano aveva un rasoio con cui si stava sistemando il pizzetto; a terra, accanto a lui, c'erano un secchio pieno d'acqua e del sapone.

Indossava i suoi pantaloni lunghi da viaggio ed era a petto nudo. Per la prima volta, Jaira indugiò sulle forme create dalla leggera muscolatura che si sviluppava sul suo fisico asciutto. Era magro, gli s'intravedevano le costole, ma pareva abbastanza tonico ed era strano notare come il suo petto fosse meno villoso di quanto lei avesse visto sugli altri maschi.

Che uomo strano, anomalo in tutto.

Allan si voltò e riprese a specchiarsi, tirando una guancia per poterla rasare con precisione e donare alla barba una forma regolare.

«Buongiorno, Jaira.»

Spezzò il silenzio con tono monocorde e lei si avvicinò con movimenti meccanici, le braccia rigide. La luce del primo pomeriggio entrava dai numerosi oblò e rendeva palese che nel grande ambiente ci fossero solo loro due. L'aria di mare s'insinuava prepotente dalle aperture, alleggerendo l'odore del legno e degli umori dei numerosi uomini che dormivano in quel luogo.

Quando quella mattina Jaira si era svegliata, Allan se n'era già andato e ritrovarselo lì, in quel momento d'agitazione, la mandò in confusione. Non riuscì neanche a rispondere.

Fissandogli la pelle nuda della schiena, lei non poteva fare a meno di ricordare ciò che aveva visto qualche minuto prima e nella mente la figura di Eatiel si mischiò alla sua in modo grottesco. Dallo specchio, Jaira notò che lui aveva alzato gli occhi per ricercare i suoi e le iridi nocciola sembrarono illuminarsi un poco quando li trovarono.

«Ti sei messa il mio regalo.»

Lei si riscosse e allargò gli arti, sorprendendosi lei stessa per quella constatazione così semplice, ricca di significato. Deglutì, nervosa e con la testa sempre più pesante.

«Sì.»

Allan chiuse la lama del rasoio nella sua impugnatura di legno lucido e lo appoggiò accanto al sapone, poi passò le gambe da una parte all'altra del cassone per girarsi verso di lei e incrociò le braccia al petto, sospirando.

«Ora ti arrabbierai e mi farai una scenata, ma sai che non riesco a tenere la bocca chiusa.» Gli angoli delle labbra si alzarono appena. «Ho proprio occhio per le taglie. Ti sta molto bene.»

Jaira avvampò e sentì le gote andare a fuoco. Il primo pensiero fu che la stesse prendendo in giro, poi, però, ricordò il modo in cui se n'era andato dopo la loro ultima lite.

Che fosse sincero?

Non c'era malizia sul suo volto, solo quell'odioso autocompiacimento che era solito mostrare quando credeva di avere ragione. Era stata lei a ferirlo, quindi? Era per quello che da tre giorni lui rifuggiva le altre persone?

«Scusami.»

Quella parola le sgusciò tra le labbra senza controllo. Sentiva che un altro pezzo della sua anima se n'era appena andata, portata via da Eatiel senza che l'elfa nemmeno lo sapesse e mai lo avrebbe dovuto sapere.

Quindi era normale quell'insolita fantasia, no? Era umano voler riallacciare il rapporto con Allan, visto che neanche ora le stava voltando le spalle. Era normale desiderare un poco di felicità, un qualcosa che la portasse via per qualche attimo, che la facesse sentire una persona.

Il Canto della Rosa e del DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora