2. Ti vedo

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Il vento era quieto, le fronde degli alberi erano silenti e nemmeno gli uccelli mostravano la loro presenza. Eatiel procedeva guardinga, le mani strette intorno alle cinghie di cuoio della cesta in vimini sulla schiena.

Il fruscio delle foglie, le melodie delle creature grandi e piccole e persino il ritmico rumore dei passi tra i sentieri sassosi... tutto ciò che poteva condurla con le memorie alla sua terra natia le donava gioia.

Quel giorno, però, ovunque c'era silenzio e gli spettri erano irrequieti: le loro voci le riempivano la mente. L'aria era secca e non c'erano nemmeno gli odori. Dov'era l'aroma del muschio? Dove il profumo della corteccia e dell'erba?

Qualcosa non andava e una tremenda sensazione di oppressione non voleva abbandonarla. I lunghi ricci candidi le ricadevano sulla schiena, tristi: bramavano il vento in un bisogno primordiale che lei non aveva mai compreso, ma in quella calda mattina estiva il vento non c'era.

Eatiel sospirò e tese le lunghe orecchie per cercare di captare qualsiasi cosa potesse sovrastare le incomprensibili parole e le risate sinistre nella sua testa.

Gli spettri non stavano mai zitti.

Doveva farsene una ragione e sbrigarsi a compiere il suo lavoro per poter tornare al villaggio di Beley. Riprese il cammino godendo della luce dei raggi del sole che s'insinuavano nella cupola frondosa, disegnando strisce che attraversavano l'ambiente scontrandosi con la terra: erano tanto dritte e perfette che parevano nascere direttamente dalla mano di Alanmaeth, il grande spirito creatore. L'elfa bisbigliò il suo nome rendendogli omaggio in una preghiera a mezza voce e proseguì affrettando il passo. Alzò le ampie maniche della veste di cotone verde che indossava e le bloccò ai gomiti con dei nastri, visto che il caldo delle prime ore pomeridiane stava intaccando la frescura tipica del bosco.

Quando raggiunse la piccola radura, infine riuscì a rilassarsi. Nessuna delle raccoglitrici del villaggio era mai arrivata fin lì, poiché solo lei aveva trovato il sentiero da seguire tra la vegetazione che, a un occhio poco attento, sarebbe parsa tutta uguale. Eatiel, però, tra gli alberi c'era cresciuta e riconoscerli uno per uno le risultava semplice come incontrare vecchi amici.

Si era addentrata parecchio nel fitto del bosco e si diceva che fosse pericoloso a causa del gran numero di creature selvagge che lì dimoravano, ma lei non aveva paura: persino le bestie le stavano alla larga.

Si fermò sotto al primo dei cinque meli selvatici che crescevano uno vicino all'altro e aprì il coperchio della cesta, slegandola dalla schiena e poggiandola a terra. Alzò lo sguardo e indicò i frutti; nei giorni precedenti aveva già raccolto le mele che crescevano tra i rami bassi, quindi avrebbe dovuto arrampicarsi per raggiungere quelle più in alto, ma non moriva dalla voglia di farlo.

«Vedete di rendervi utili, una volta tanto.»

Gli spettri si acquietarono e, dopo un attimo, le mele iniziarono a staccarsi dagli alberi, fluttuando nella cesta una dopo l'altra. Eatiel aggrottò le sopracciglia: era stato troppo facile. Le risate degli spettri si fecero prepotenti e le mele ancora nell'aria cominciarono a schiantarsi su di lei.

«Quindi volete la guerra.»

Era abituata a quegli infantili dispetti e si fece colpire solo da un paio di frutti, prima di avere la prontezza necessaria ad afferrare la cesta per usarla come scudo, facendone al contempo cadere le mele all'interno; un metodo di raccolta singolare, sì, ma comunque soddisfacente. D'un tratto, gli spettri si fecero mesti e la raccolta finì, le mele caddero al suolo.

Come poco prima, ogni suono sembrava essere svanito dalla realtà, ma ora nell'aria era ben percepibile un forte olezzo di morte.

«Ti vedo.»

Il Canto della Rosa e del DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora