30. Devi salire (parte 1)

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«Ho lasciato che ti disperassi per alleggerire il peso che porti nel cuore, ma è tempo di svegliarsi, Eatiel, figlia di Enwelion.»

Quella voce odiosa... no, non voleva ascoltarla. Era libera, era sola: non udiva più gli spettri, non sentiva più caldo, freddo, fame o alcun bisogno fisico. Rannicchiata su sé stessa con le palpebre serrate, Eatiel voleva essere lasciata in pace; non chiedeva poi molto.

«Ti è impossibile sottrarti al destino. Endel ha bisogno che tu riacquisti la speranza.»

Perché Ilimroth continuava a parlarle?

Non c'era nessun destino, nessuna speranza!

E poi... lei era caduta da un precipizio, quindi perché non era morta? Perché l'anima non era ancora finita tra i dannati?

Udì un sospiro amareggiato, la voce dello spirito della morte si fece più vicina.

«Sei l'emissaria della signora dei venti, Eatiel. Come pensavi di poter morire, gettandoti da una montagna?»

Quella domanda fu posta con tono neutro, ma all'elfa parve davvero derisoria e la fece scaldare; infine decise di aprire gli occhi, stringendo i pugni e scattando seduta.

«Io no—»

S'interruppe in modo brusco, a bocca aperta, rendendosi conto che non si trovava nel familiare stagno di Serendhien.

Era adagiata su un pavimento d'ossidiana scura ma in qualche modo trasparente; sotto di lei, a parecchi metri, poteva vedere un'infinita distesa rocciosa, inframmezzata da fiumi di lava ribollente. Erano lontane, ma seppe all'istante che quelle figure che si muovevano senza meta erano delle anime e deglutì, quando vide passare in volo tra esse un essere dalla pelle nera come la pece, due corna gigantesche ed enormi ali da drago. Brandiva la sua frusta, ma Eatiel avrebbe riconosciuto Enoder, il custode dei dannati, anche senza di essa.

Per istinto, l'elfa alzò la testa a scrutare il cielo e non si stupì di trovare un'altra lastra d'ossidiana a delimitarlo per la sua interezza; sopra di essa c'era luce, una distesa interminabile di luce bianchissima.

Impressionata, si decise a ricercare la figura della morte e la trovò davanti a lei, ferma a scrutarla con gli abiti a brandelli che a malapena la coprivano e la terrificante falce a fluttuare minacciosa dietro di lei.

Si trovavano in un ambiente scuro ma luminoso, senza oggetti; l'aria era fresca ma pesante, statica.

Tutto pareva l'opposto di ciò che doveva essere, eppure c'era equilibrio.

A causa delle superfici lisce sopra e sotto di lei, Eatiel si sentiva chiusa in una scatola e la sensazione si accentuò non appena si accorse che c'erano delle pareti a delimitare lo spazio in modo circolare ed erano formate da innumerevoli clessidre.

Ilimroth attese con sguardo imperscrutabile ed Eatiel non riuscì a trattenersi, nonostante non avesse alcuna voglia di parlare con lei.

«Questa è la tua dimora? Perché non siamo da Serendhien?»

Lo spirito abbassò il capo, distogliendo i profondi occhi di buio.

«Lei è incollerita, emissaria. Ti ha salvata, ma ha perso il desiderio di vegliare su di te. Uscendo dal percorso da lei tracciato, scegliendo di odiarla invece di comprendere, l'hai molto delusa.»

Eatiel socchiuse le palpebre e si mise in piedi per poter meglio fronteggiare la morte.

«Siete degli esseri meschini; vi divertite a giocare con le vite delle persone credendo di poterne disporre a vostro piacimento perché la vita è nata da voi. Questo a cosa vi ha portato? Ovunque dilaga l'infelicità e voi non sapete come gestirla.»

Il Canto della Rosa e del DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora