5. Una corda al collo

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Per arrivare a Bawic da Beley trascinandosi dietro un carro ci volevano almeno tre giorni, ma Jaira disse che ce l'avrebbero fatta in due e mezzo. Eatiel era dubbiosa, tuttavia non le era parso il caso di discutere con la guerriera. Il tramonto li aveva colti quasi al limitare del bosco, allungando le ombre e colorando il cielo di magnifiche tinte arancio e rosse, anche se gli alberi avevano ben presto coperto la rapida discesa del sole morente.

Prima di partire, Jaira aveva eliminato il telo dal carro, lasciando solo lo scheletro di legno in modo da poter controllare il prigioniero dal suo cavallo in ogni momento. Quando Finron Halley si era svegliato, dopo un primo disorientamento, era rimasto quieto, limitandosi a osservarli a turno con sguardo criptico. Lo avevano legato nello stesso punto in cui era stata bloccata Eatiel, ma non l'avevano imbavagliato.

Anche lei e la guerriera non avevano parlato molto, ma c'era Allan a farlo per tutti. L'elfa scoprì presto che quell'incantatore altri non era che un cantastorie e sembrava che la cosa che amasse più al mondo fosse il suono della sua stessa voce: non stava zitto un secondo. Canticchiava, fischiettava, raccontava aneddoti più o meno convincenti su combattimenti tra mostri ed eroi che diceva di aver visto di persona. Chiamava il suo liuto per nome e riempiva il silenzio del bosco, ma almeno aiutava Eatiel a distrarsi dai borbottii molesti degli spettri.

Si era cambiato, abbandonando le brache aderenti e la tunica colorata in favore di più comodi e sobri pantaloni lunghi e camicia di lino da viaggio. Luther non era l'unico oggetto magico che Allan si portava dietro, poiché anche il suo zaino lo era: sebbene non fosse affatto voluminoso, lei gli aveva visto tirare dentro e fuori un numero considerevole di oggetti di ogni sorta, per nulla preoccupato nel mostrare quelle particolarità a loro o al prigioniero. Del resto, a Reah erano proibite le arti arcane, non gli oggetti magici.

Paradossalmente, ora che si era finta una cultista, Eatiel avrebbe potuto andare in giro a curare o aiutare le persone senza che nessuno l'arrestasse, poiché la magia spirituale era considerata in modo diverso ed era probabile fosse perché a essere bandito dalla regione era solo Varodil, lo spirito della magia, colui che aveva donato ai mortali le arti arcane.

Toccò a Eatiel, seduta sul sedile accanto ad Allan, l'onere di dar retta al bardo durante il pomeriggio, visto che Jaira, chiusa in un cupo mutismo e coi capelli davanti al viso, lo passò a fissare il collo del cavallo e si riscosse solo quando i colori del tramonto stavano per fare a cambio con l'oscurità della notte.

«Allan, spronate i cavalli. Voglio proseguire fino a uscire dal bosco: è pericoloso accamparsi qui.»

Diede un'occhiata ostile al fuorilegge, che le rispose con un sorriso ambiguo, poi estrasse una torcia dalla sacca al fianco del cavallo e l'accese. Increspò le labbra e tentennò, restando al lato del carro.

«Dovrei procedere avanti per illuminare il cammino, ma non mi fido del mezz'elfo.»

Quello rise e alzò le spalle.

«Farò il bravo, lo prometto.»

Anche Allan si voltò per guardarlo e mosse nell'aria l'indice in segno di negazione.

«Non c'è alcun bisogno che la nostra dama di metallo si smuova dal vostro fianco, messer schiavista. Se è la luce il problema, luce avremo!»

Tornò a guardare il sentiero e mantenne il dito alzato, poi si schiarì la gola.

«Calim.»

Luce.

All'istante, una piccola palla luminosa scaturì dalla punta del dito del bardo e cominciò a fluttuare davanti ai cavalli, seguita poi da altre due che presero posto una accanto a loro e una vicina a Finron. Il sentiero intorno al carro si illuminò quasi a giorno. Jaira si scaldò subito.

Il Canto della Rosa e del DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora