14. Conforto (parte 2)

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Che stupido, davvero uno stupido.

Come aveva fatto a pensare anche solo per un istante che Jaira fosse seriamente interessata a lui? Allan avrebbe dovuto capirlo e tranquillizzarla subito, senza lasciarsi abbindolare.

Che pessima figura.

Si diresse verso il castello di prua e percorse lo stretto corridoio tra esso e la murata di tribordo, in modo da arrivare nel suo posto preferito; proprio sulla punta del veliero, infatti, c'era una piccola area triangolare da dove era possibile osservare il mare stando in piedi, in solitudine, coperti dal castello. Nessuno era mai andato a disturbarlo, lì.

Si appoggiò con gli avambracci alla ringhiera, tenendo Luther per il manico con una mano sola, e si sporse a guardare le onde che s'infrangevano contro alla chiglia, appena visibile sotto la superficie.

I capelli bagnati gli gocciolavano sulla faccia e sulla camicia mezza sbottonata, mentre lui era perso a guardare verso il basso. La polena dorata era il mezzo busto di una donna incappucciata, con dietro una falce e un braccio teso in avanti dal quale pendeva una pesante catena che terminava con una clessidra. Il sole la faceva risplendere e quell'immagine avrebbe potuto persino ispirarlo a comporre qualcosa, se non fosse stato tanto abbattuto. Non avrebbe potuto farlo neanche volendo poiché aveva lasciato la cartellina con gli spartiti nello zaino ed era uscito in tutta fretta portandosi dietro solo Luther.

Solo tre giorni prima si era infilato tra le lenzuola di una golunnar e poi era persino riuscito ad ammaliarla con le ultime forze che gli restavano; che diritto aveva di sentirsi così?

Però era palese che Jaira l'avesse usato nel vano tentativo di stare meglio, forse per dimenticare qualcosa, per sentirsi meno sola. Allan fece schioccare la lingua sul palato e sospirò: lui non era un oggetto.

Il nodo che sentiva nelle viscere lo destabilizzava. Era realista, sapeva che la quasi totalità delle persone con cui era andato a letto, compresa Daianira, voleva soddisfare un effimero piacere e di solito gli stava bene, perché era un patto reciproco, un accordo non detto. Tuttavia, con Jaira aveva creduto fosse diverso.

«Stupido.»

Imbracciò Luther e prese a strimpellare qualche accordo senza riflettere su ciò che stava facendo, fissando l'orizzonte. Avrebbe dovuto comporre una canzone su quanto fosse patetico, di certo avrebbe fatto successo.

«Ma non la smetti mai di suonare quell'affare?»

Allan sobbalzò e stonò, producendo una nota acuta e fastidiosa a causa dell'involontario movimento delle mani. Si voltò e vide che dietro di lui c'era uno dei marinai, un uomo nerboruto e piuttosto alto, con una lunga barba nera e pochi capelli in testa.

Cosa ci faceva lì? Perché lo aveva raggiunto nel suo angolo di quiete? Lo aveva apostrofato con una domanda retorica espressa in modo arrogante, quindi Allan evitò di rispondergli e si limitò a poggiarsi alla murata, tenendo Luther davanti al petto e aspettando che fosse lui a palesare le sue intenzioni.

L'uomo era fermo sul limite del corridoio laterale e lo fissava con un sopracciglio alzato, le braccia incrociate e una mano a giocherellare con gl'ispidi peli della barba. Lo strano sorriso sottile che gli rigava la faccia era davvero ambiguo.

«Che c'è, fighetta, sei triste? Ti faccio tornare io il sorriso!»

Lo derise e Allan inspirò profondamente.

No, per favore, non l'ennesimo decerebrato ignorante venuto per disturbarlo, pensando di poter ottenere ciò che voleva. Uomini o donne non faceva differenza, tutti lo trattavano come una meretrice. Era a causa del suo aspetto? Dei suoi modi?

Il Canto della Rosa e del DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora