L'inizio della fine (Parte II)

519 34 94
                                    


L'inizio della fine (Parte II)


(Friedhelm POV - Fort Halloran, New York, 6 Novembre 1944)

«Portatelo in infermeria; io vado ad avvisare l'ufficiale del campo.» Emanò disposizione un soldato ai suoi due sottoposti, sollecitando questi ultimi a non perdere altro tempo.

I ragazzi interpellati non se lo fecero ripetere una seconda volta e si incamminarono speditamente laddove vi si trovava l'ultima baracca situata nel campo: l'infermeria.

I loro passi cadenzati e sgambettanti contribuirono a farmi ballonzolare il capo in ogni direzione, provocandomi delle fitte acute e dolorose alla base del collo e delle spalle.

Nel mio stato di semi-incoscienza, tramortito dalla febbre alta e da continue allucinazioni visive e uditive, fu quasi del tutto impossibile riuscire a tenere gli occhi aperti.

Provai con tutte le mie forze a rimanere vigile e sveglio, ma fallii miseramente.

Le ciglia erano imperlate di sudore; la fronte e l'attaccatura dei capelli completamente bagnate, fradicie, come se qualcuno mi avesse gettato un secchio pieno d'acqua sul viso.

La vista annebbiata, appannata, trasfigurò e deformò orrendamente le figure degli internati che mi circondavano e che seguitavano, in silenzio, a svolgere il proprio lavoro.

Uomini senza volto, ombre distorte, allungate spaventosamente, in maniera innaturale, verso un cielo immerso nella pece, in un mare d'inchiostro denso e vischioso.

Voci indistinte, incomprensibili, mormorii sconnessi, si insinuarono nelle mie orecchie trasportate dal nevischio invernale, fondendosi in un'accozzaglia di suoni inarticolati, sfuggenti, nebulosi.

Dopo avermi piazzato in un angolo fatiscente della baracca, i due soldati tornarono indietro per dedicarsi alle loro mansioni quotidiane, lasciandomi da solo in preda a spasmi e deliri.

Alcuni momenti più tardi si presentò il medico militare del campo, accompagnato da alcune infermiere che lo aiutarono immediatamente a trasportarmi in uno stanzino adibito per le visite.

Mi spogliarono rapidamente e cominciarono a misurarmi la temperatura corporea e a controllarmi i vari parametri vitali.

La mia pelle era bollente, infuocata. Respiravo affannosamente; il dolore che proveniva dal torace era atroce, insopportabile.

«La febbre è molto alta, dobbiamo fargliela abbassare il prima possibile.» Constatò il medico, scrutando il termometro con occhio clinico.

«Sorella, gli prepari degli impacchi di acqua fredda; forza, si sbrighi!» Si rivolse alla ragazza che gli stava di fianco, la quale annuì istantaneamente, sobbalzando involontariamente.

«Dev'esserci un'infezione polmonare in corso...» il dottore rifletté a voce alta, vedendomi contorcere come un pesce appena pescato e intrappolato nella rete.

«Questo ragazzo riversa in condizioni disperate, dev'essere ricoverato nell'ospedale più vicino. Qui non abbiamo gli strumenti adatti per trarre diagnosi più precise, non riusciremmo a garantirgli le cure necessarie per farlo rimanere in vita.»

Frattanto che il dottore commentava il mio preoccupante stato di salute alle altre ragazze presenti attorno a lui, l'infermiera precedentemente incaricata da quest'ultimo di assistermi mi adagiò sulla fronte un fazzoletto intriso d'acqua fredda, pressandolo maggiormente sulle tempie. Dopodiché mi tamponò anche i polsi, ripetendo quella medesima azione diverse volte di fila senza mai interrompersi.

Intertwined destiniesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora