Gioie e dolori

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Gioie e dolori

(Manhattan, New York, 11 Gennaio 1944)

Il suono rintronante della sveglia mi destò alle sei del mattino, quando fuori il cielo era ancora buio e avvolto da una densa foschia.

Allungai il braccio verso il comodino alla mia destra per spegnere quel rumore infernale, concedendomi qualche momento di silenzio e tranquillità prima di abbandonare il tepore accogliente delle coperte sul mio corpo.

I miei occhi raggiunsero il soffitto e rimasero a fissare il vuoto, riportandomi alla mente l'episodio verificatosi durante la cena a lume di candele organizzata da Alexander.

Erano trascorsi ben due giorni, ma io non avevo smesso neppure per un istante di rimuginarci sopra. 

Senza volerlo, l'immagine di Alexander che avvicina le sue labbra alle mie mi si formò involontariamente nella testa, mandandomi in confusione.

Come un miraggio rivedevo quella scena dovunque, a qualsiasi ora del giorno e della notte...

Perché ero così codarda da non voler ammettere a me stessa che non mi dispiaceva poi così tanto ricevere le sue attenzioni? 

Perché mi sentivo tremendamente in colpa quando ricambiavo i suoi sguardi lusinghieri ed attraenti?

Travolta da tutte quelle domande mi alzai, scostando le coperte con un movimento deciso e poggiando i piedi sul pavimento.

Indossai il soprabito e le pantofole e mi incamminai verso il bagno per lavarmi.

Oggi sarebbe stato il mio primo giorno di lavoro all'ospedale. 

Ero estremamente nervosa ed agitata e ripensare a quella determinata scena al rallentatore contribuì a rendermi molto più ansiosa ed inquieta.

Le mie mani strinsero i due lati del lavandino e il mio sguardo si rifletté nello specchio situato sopra di esso.

All'improvviso, alle mie spalle, apparve la figura malandata di Friedhelm: pallido come un cencio e smagrito da far paura.

I suoi occhi avevano perso qualsiasi traccia dell'inconfondibile turchese che mi avevano fatta innamorare perdutamente di lui.

Erano incavati nella pelle grigiastra, sfigurata da mostruose cicatrici. Avevano assunto una tonalità spenta, esangue, slavata. 

Sembrava fosse... morto.

I suoi adorabili capelli biondi e lisci, dalle sfumature dorate, adesso mi parvero così sfibrati, opachi, svigoriti. 

Sgranai terrorizzata le palpebre per quell'orrenda visione ad occhi aperti e lanciai un urlo strozzato, che mi rimase incastrato nella gola.

Abbassai lo sguardo, tremante, concentrandomi sul mio respiro irregolare. 

Quando lo rialzai, Friedhelm era scomparso, non c'era più.

Singhiozzai, premendomi le mani sulle labbra. Frenare le lacrime, a quel punto, fu impossibile. 

Ricongiunsi la mia espressione atterrita in quella riflessa nello specchio e dai miei occhi stravolti caddero le prime gocce d'acqua, rigandomi le gote.

No... i cattivi pensieri non avrebbero dovuto sovrastarmi. Non oggi.

Avrei dovuto fare bella impressione al lavoro, altrimenti l'impegno e la perseveranza di Alexander sarebbero stati del tutto inutili.

Lui era riuscito a convincere il dottore a darmi una possibilità, di farmi valere. 

Non sarebbe stato giusto buttare tutto quanto all'aria. Non avrei dovuto permetterlo.

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