Il mio cuore è vicino a te
(Manhattan, New York, 21-22 Novembre 1944)
Trascorsero due lunghe settimane di attesa, silenzi ed angoscia; le più dure e pesanti dal mio arrivo negli Stati Uniti.
Quell'amara verità aveva reciso, in maniera netta, qualsiasi tipo di rapporto avuto, fino a poco prima di quel momento, con la famiglia Cohen.
Alexander e Sara non avevano più osato rivolgermi la parola né tantomeno lo sguardo.
Il risentimento e la delusione che avevo loro arrecato li aveva feriti profondamente, li aveva lasciato dentro una voragine che difficilmente sarebbero riusciti a ricolmare in così poco tempo.
Li avevo incrociati casualmente - non più di tre volte - sul pianerottolo delle nostre rispettive abitazioni, ma entrambi non avevano battuto ciglio, non avevano mostrato alcun segno di cedimento.
Ero diventata trasparente, invisibile; come se non fossi mai entrata a far parte della loro vita, come se non fossi mai esistita per davvero.
Ero un'estranea qualunque, una persona sconosciuta dalla quale diffidare e tenersi a debita distanza.
A niente valsero i miei banali tentativi di ristabilire un contatto con loro, di fargli comprendere - attraverso le mie espressioni gonfie di rammarico e tristezza -, quanto realmente fossi stata dispiaciuta di aver creato tale scompiglio e aver minato il loro equilibrio familiare.
Semplicemente costoro voltavano il viso dall'altra parte ed ignoravano la mia presenza; seppur con evidente difficoltà.
Sebbene Alexander e Sara avessero cercato in tutte le maniere di evitarmi e schivare il mio sguardo - indossando perennemente una maschera di malcelata indifferenza ed impassibilità sul volto - sentivo, percepivo, che per loro non fosse affatto facile dissimulare l'accaduto, far finta che le cose stessero tornando, mano a mano, alla normalità.
Il dolore, la rabbia e l'umiliazione bruciavano con fervore, ardevano con impetuosità, nel cuore squarciato e straziato del capitano.
I turni di lavoro all'ospedale, durante il mese di Novembre, si erano moltiplicati ed intensificati sempre più.
Oltre ai prigionieri di nazionalità tedesca ricoverati nei vari piani della struttura - uno di loro non aveva ancora ripreso conoscenza e giaceva, immobile, in una stanza asettica e vuota attaccato al respiratore -, nelle giornate successive ne arrivarono altri gravemente ammalati di tifo e malaria.
Noi infermiere eravamo stremate e a corto di energia. Prestare soccorso immediato a più persone contemporaneamente era estremamente difficile e complesso.
Dall'alba a tarda sera correvamo da una direzione all'altra per poter assistere prontamente tutti coloro ne avessero avuto maggiormente bisogno.
Nonostante la guerra stesse per volgere al termine, gli ammalati e i feriti continuavano esponenzialmente ad aumentare. In quasi un anno di servizio in ospedale, non avevo mai visto un afflusso così massiccio di pazienti ricoverati.
Il dottor Brown decise di farsi aiutare ed affiancare da altri medici della città fin da subito.
Aveva capito che, se avessimo continuato a contare sulle nostre singole forze, non saremmo mai riusciti a salvare tutti quanti.
Eravamo in netta minoranza in confronto al numero di degenze giornaliere.
La situazione ci parve più critica e preoccupante del previsto...
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Intertwined destinies
Historical FictionBerlino 1942; Annelies Von Falk è una giovane ragazza figlia del Colonnello delle SS Wilhelm Von Falk. Ella è costretta a vivere parte della sua infanzia e adolescenza con un padre dispotico, rigido e scostante che le porterà via le cose a cui tiene...