L'enorme peso della verità

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L'enorme peso della verità


Nel pomeriggio mio padre e Friedhelm tornarono al campo, entrambi tesi e nervosi. Charlotte si era chiusa in camera sua, in collera con papà per averle vietato di uscire.

D'altro canto io avevo intenzione di scoprire, una volta per tutte, cosa ci fosse sotto a questa storia. Era ormai ovvio il loro comportamento.

Cosa nascondeva quel campo?  Chi nascondeva quel campo?

Senza tener conto di altri fattori rilevanti impossibili da ignorare: il drastico cambiamento di papà nei miei confronti, il voler tenermi buona e accondiscendente. I cambi d'umore improvvisi e irrazionali di Friedhelm e quel sogno... La mamma così triste e addolorata, il suo sorriso spento e non accentuato sul bel viso etereo, i suoi occhi nocciola aridi di lacrime e di colpo invecchiati, e le sue dita affusolate e ben curate che indicavano la mia catenina d'oro.

Era dal primo giorno in cui avevo messo piede in questa casa che avvertivo qualcosa di strano crescermi dentro; una sensazione di disagio mista a fastidio e confusione.

Osservare quel campo dalla mia finestra a quasi duecento, trecento metri di distanza, suscitava in me un'irrequietezza perenne.

Scariche di pura adrenalina attraversavano senza sosta il mio corpo. Una voglia pazza ed incontrollata di scoprire la verità affollava la mia testa, facendo alzare ed abbassare ritmicamente il mio sterno.

Irresponsabilità? Probabilmente.

Ma il voler scoprire di più con i miei occhi era d'altronde un mio diritto. Proprio come sosteneva San Tommaso: "Se non vedo, non credo."

Se avessi scoperto come stessero realmente le cose sarei stata molto più tranquilla. La ragione e il torto si sarebbero schierati da una parte sola.

Terminai rapidamente metà dei miei compiti per mercoledì; successivamente indossai la sciarpa e il cappotto e silenziosamente, camminando in punta di piedi, raggiunsi il portone principale.

La casa era pressoché silenziosa: le domestiche svolgevano il loro lavoro in cucina ed Hanna si rilassava come di suo solito ascoltando Wagner o Strauss al Grammofono in sala da pranzo.

Le deboli note musicali risuonavano flebilmente anche nella mia testa.

Scrutai ancora una volta guardinga ed attenta tutta la casa e con calma apparente abbassai la cigolante e vecchia maniglia della porta.

Per fortuna il rumore della musica attutì definitivamente quello stridulo della maniglia in ottone.

Aprii la porta e la richiusi alle mie spalle, facendo attenzione a non creare troppo rumore.

La giornata, dopo l'abbondante acquazzone, aveva reso il paesaggio circostante uggioso e umido.

Cominciai con calma ad attraversare il giardino, a tratti fangoso, camminando a passo più o meno normale. Percorsi l'intero viale, giungendo di fronte al grande cancello in ferro battuto.

Diedi una rapida occhiata alla mia destra e poi alla mia sinistra. Roteai lo sguardo con estrema preoccupazione e dopodiché controllai anche alle mie spalle, inspirando e respirando brevi boccate d'ossigeno.

All'improvviso ricordai dell'uscita secondaria, appena dietro il giardino. Quella porta veniva lasciata sempre socchiusa, non la utilizzava nessuno.

Cambiai traiettoria, dirigendomi speditamente verso la vecchia porta marrone scuro. Prima che avessi potuto richiuderla alle mie spalle, ebbi un improvviso ripensamento ma esso durò solo qualche istante.

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