Nessuna via d'uscita

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Nessuna via d'uscita

(Friedhelm POV - Leningrado, Russia)

Chiudere gli occhi e addormentarsi dopo aver visto delle macchie di sangue su quel misero pezzo di stoffa fu quanto di più difficile e tremendo avessi passato nella mia vita.

Eppure, disgrazie e disavventure me ne erano capitate parecchie per avere solo ventuno anni. 

Il cancro aveva consumato mio padre, riducendolo ad un miserabile guscio vuoto. Mesi interi passati nella sofferenza e nel dolore più assoluto. 

Un'infanzia trascorsa tra medici, morfina, urla lancinanti e pura rassegnazione. Non c'era nient altro che avessimo potuto fare per lui. 

Non esisteva nessuna cura. Potevamo solo sperare che Dio avesse provato un minimo di pietà per quell'uomo e gli avesse concesso la pace eterna nel minor tempo possibile. 

Sfortunatamente questo non accadde. 

Mio padre restò vigile e cosciente fino all'ultimo minuto della sua vita. 

Vedevo il tormento nei suoi occhi azzurri così simili ai miei... Si dispiaceva così tanto nel vedere me e mia madre rinunciare alla vita al dì fuori di quella stanza da letto per rimanere al suo capezzale. 

Se avesse potuto esprimersi o parlare, ci avrebbe rassicurato, abbracciato. Desiderava che fossimo stati felici, avrebbe voluto vederci sorridere e andare avanti. 

Dovetti munirmi di tanta forza per stargli accanto. 

Sbatteva solo le palpebre e quando aveva energia a sufficienza durante il giorno riusciva a comunicare con noi solo con le mani o con la testa. 

L'ossigeno era indispensabile, ed era quello principalmente a tenerlo in vita. I suoi polmoni erano completamente pieni di metastasi a detta del medico. 

Ricordo che versavo tante lacrime quando lui riposava. Mi sentivo talmente impotente nel vederlo in quelle condizioni terribili. 

Avrei voluto trovarmi in una stanza da solo per poter urlare e sfogare tutta quella rabbia e frustrazione che provavo, ma cercavo di mostrarmi coraggioso agli occhi di mia madre. Volevo che cominciasse a capire che dopo papà, l'uomo di casa sarei diventato io. 

A undici anni capii quanto potesse essere dura e piena di ostacoli la vita di ognuno di noi. Accantonai favole e giochi prestissimo per poter dedicare anima e corpo al mio adorato padre. Mia madre era troppo impegnata ad invidiare la situazione famigliare delle sue amiche per potersi concentrare su suo marito morente nel suo stesso letto.

Dopo la morte di mio padre mi chiusi in un silenzio devastante. Non provavo il minimo interesse in niente e nessuno. I miei compagni di scuola venivano a chiamarmi per giocare, ma io semplicemente li evitavo, li allontanavo. 

La loro felicità e serenità mi urtava e mi infastidiva; starli accanto significava dimenticare ed era l'ultima cosa che avrei voluto fare. 

Mio padre, nonostante fosse morto, non mi aveva mai abbandonato spiritualmente. La sua mano sulla mia spalla c'era sempre, pronta a sostenermi. 

Mi aveva fedelmente seguito anche a Leningrado. Quasi volesse proteggermi, facendosi scudo col suo corpo.

Continuavo fortemente a credere che fosse stato proprio lui a condurmi da Annelies, mia madre c'entrava ben poco in questa faccenda. 

Se non l'avessi incontrata, la depressione mi avrebbe annientato e sconfitto. Quella ragazza mi aveva salvato. Grazie alla sua dolcezza e alla sua semplicità, quella ragazzina mi aveva conquistato e mi aveva scaldato il cuore, tornando a farlo battere forte dall'emozione e dalla felicità.

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