La partenza

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La partenza


Tutto sembrava stesse andando per il meglio... o almeno, credevo fortemente che fosse stato così.

Avevo studiato quel piano nei minimi dettagli e, fino alla mia ultima uscita, non ero mai stata scoperta con le mani nel sacco da mio padre o da Hanna.

Gli appuntamenti della Resistenza si tenevano sul tardi, quando il coprifuoco di già entrava in vigore nel paese. 

Sgattaiolavo via di casa - grazie all'aiuto speciale di Olga e del signor Alesky - verso le otto, ora in cui Hanna e mio padre si intrattenevano nella sala da pranzo per ascoltare il bollettino della sera su Radio Berlino

Quel momento era sacro per loro; non si sarebbero accorti neppure del rumore più impercettibile e sottile, poiché dedicavano la loro totale attenzione all'apparecchio radiofonico.

Quando rientravo nell'abitazione, solitamente l'orologio a pendolo segnava le dieci, le dieci e trenta, perciò ogni componente della famiglia si era di già ritirato nelle rispettive camere da letto. L'androne della casa era totalmente immerso nella penombra notturna. Il silenzio regnava assoluto.

Mi defilavo nella mia camera dopo essermi tolta le scarpe e aver salito le scale in punta di piedi. In seguito, mi infilavo a letto e spegnevo qualsiasi fonte luminosa, addormentandomi profondamente alcuni istanti più tardi. 

Ogni cosa era sempre andata secondo i miei piani, non era mai accaduto nulla che avesse potuto farmi capire che, prima di quanto avessi potuto immaginare, le cose sarebbero drasticamente cambiate...

Un sera di inizio Marzo del 1943, poco dopo aver varcato la soglia ed essermi fermata ad augurare la buonanotte ad Olga, qualcuno, in quel preciso momento, non si trovava nel proprio letto, ma rimase, ben nascosto, a spiarmi nell'ombra.

E quella losca ed inquietante figura era proprio Hanna. 

L'odio e il risentimento che nutriva disperatamente nei miei confronti, ella fu lieta e felice di dimostrarmeli nella maniera più terribile possibile due giorni dopo avermi scoperta in flagrante.

Purtroppo, il buio e l'assoluta assenza di rumori, non mi permisero di accorgermi della sua presenza e quello fu, senza dubbio, un enorme punto a suo favore.


Il giorno successivo feci normalmente lezione con il professor Liszt e successivamente, nel pomeriggio, giocai con Charlotte e Friedhelm in giardino. 

Quei pochi istanti di spensieratezza e felicità, riuscivano ad estraniarmi completamente da quella realtà così dolorosa che stavamo vivendo e per mia sfortuna, osservando, inermi, con i nostri stessi occhi. 

In quel momento c'eravamo solo noi e i nostri gioiosi sorrisi a rallegrare l'atmosfera che ci circondava.

La voglia di vivere e di divertirci emergeva proprio in quei determinati frangenti. Sapevamo che quegli istanti preziosi avremmo dovuto viverli al massimo, attimo dopo attimo, perché durante una guerra ridere, giocare e amare diventava ogni giorno sempre più difficile, sempre più paradossale. 

Sapevamo, nel nostro intimo più profondo, che la guerra non offriva sconti a nessuno. 

Ma mai avrei potuto immaginare che quella donna, quella persona che viveva nella nostra stessa casa, che aveva dormito nello stesso letto della mamma a Berlino, quella donna che aveva mangiato con noi seduta alla stessa tavola, sarebbe stata capace di compiere un'azione tanto spregevole ed abominevole. 

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