Non possiamo più essere amiche

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Non possiamo più essere amiche


(Manhattan, New York, 21-22 Febbraio 1944)

Accorsi ad aprire la porta, ravvivandomi la chioma fluente con le mani per riordinarla sulle spalle.

Sbloccai la serratura, abbassando il pomello, e sbirciai attraverso lo spiraglio di luce che filtrò fiocamente per identificare chi avesse suonato il campanello.

Quando i miei occhi notarono la figura di Sara, rilasciai un piccolo sospiro, aprendola del tutto per permetterle di varcarne la soglia.

La donna mi regalò uno dei suoi affabili sorrisi, imprigionandomi in un abbraccio che fu in grado di stritolarmi le costole.

«E' andato bene l'esame, vero? Dimmi di sì, ti prego!»

Circondata dalla sua presa ben salda ed impossibilitata nel muovere un solo muscolo del busto eseguii un breve cenno con la testa, confermandole la notizia immediatamente. «Ho superato l'esame con un punteggio di cento su cento...»

Sara aumentò maggiormente la presa, emettendo un'esclamazione di gioia. «Oh... come sono contenta per te, cara! Sei stata bravissima!»

Le sorrisi, provando a farle capire che fosse arrivato il momento di lasciarmi andare.

Sara si scusò, asciugandosi le lacrime di commozione che le avevano bagnato il volto.

«Hai già scritto ad Alex? Lui non aveva alcun dubbio che ce l'avresti fatta. Ha sempre creduto molto in te.»

Mi mordicchiai il labbro di sfuggita, scuotendo la testa. «No... ma lo farò presto. Troppe emozioni tutte insieme non mi hanno permesso di trovare del tempo per informarlo della bella notizia.»

«Beh, certo...» asserì lei con una nota di dispiacere.

Era piuttosto evidente che ci fosse rimasta male quando le comunicai di non aver trovato alcuni momenti da dedicare interamente a suo figlio.

«Devi essere esausta...» Sara studiò minuziosamente il mio sguardo stanco con la stessa espressione con la quale mi fissava anche Alexander, mettendomi in imbarazzo.

Sentendomi così a disagio indirizzai la mia attenzione altrove, schiarendomi la voce. «Sì... avrei proprio bisogno di farmi una lunga dormita.»

«Prima dobbiamo festeggiare, però.» Sara mi chiese di aspettarla in cucina, dicendomi che sarebbe dovuta andare a prendere qualcosa per me da casa sua.

Decisi di accontentarla e mi recai nella sala da pranzo come mi aveva esplicitamente raccomandato.

La donna tornò poco tempo dopo nella mia abitazione. Tra le mani reggeva un vassoio sul quale vi era poggiata una torta dall'odore invitante e dall'aspetto delizioso.

Era ricoperta interamente di panna e decorata con frutti di bosco.

«Sorpresa!» Esclamò, mostrandomela meglio.

«Ti ringrazio, Sara! Ma non avresti dovuto disturbarti...» le dissi, agguantando la torta e depositandola sul tavolo.

Ella scosse la testa, sventolando una mano in aria. «E' stato un piacere! Sai perfettamente quanto io adori cucinare...»

Annuii, conscia del fatto che fosse la verità. «Che stiamo aspettando? Assaggiamola... sono certa che sarà squisita.» Le sorrisi, dirigendomi verso il cassetto che conteneva le posate.

Sara adagiò due fette di torta nei piatti che le avevo avvicinato, accomodandoci, in seguito, sul comodo divano, di fronte al camino crepitante.

Degustammo il dolce con calma, assaporandone tutti i sapori.

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