I miracoli sono sogni che diventano luce

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I miracoli sono sogni che diventano luce


(Friedhelm POV - New York, General Hospital, 23 Gennaio 1945)

Il sentiero che avevo percorso prima di riprendere i sensi era stato lungo, tortuoso, tribolato.

Senza dubbio, quello era stato il "viaggio" più difficile che avessi mai intrapreso in tutta la mia travagliata esistenza, una tragica esperienza che mi aveva irrimediabilmente segnato nel profondo della mia anima, causandomi un trauma ed uno shock non indifferente.

Per circa due mesi interi di buio e di silenzio assordante, il mio corpo era rimasto atrofizzato e paralizzato sul giaciglio sul quale ero stato disposto, immobilizzato da corde e catene invisibili che mi avevano impedito di muovermi e comunicare, in una qualche maniera, col mondo esterno. 

La mia mente, invece, venne forzata a distaccarsi - metaforicamente - da esso e fu trasportata ed imprigionata in una sorta di limbo inespugnabile, una prigione inaccessibile a chiunque, una dimensione extra-corporea paurosamente vasta e sconfinata.

Attraversai un tunnel pieno zeppo di ricordi e scavai a fondo nella mia memoria, rivivendo i momenti più importanti e decisivi della mia vita.

Ripercorsi - passo dopo passo -, tutte le tappe fondamentali della mia esistenza: dal giorno della mia nascita alla morte di mio padre, dall'incontro con Annelies alla partenza per Leningrado e così via... senza mai interrompersi, senza mai fermarsi.

Giorno dopo giorno, episodi mai dimenticati riemersero in superficie e presero magicamente forma ed aspetto, susseguendosi a ritmo sostenuto sulle pareti nere come la pece di quell'angosciante galleria - trasformatasi in una conturbante pellicola cinematografica -, e proiettandovi volti ed immagini diverse, sensazioni diverse, espressioni diverse.

Quel luogo sperduto chissà dove, nel remoto universo della mia testa, esercitò un tale controllo su di me tanto da impedirmi di evadere, fuggire, svegliarmi.

Riuscii ad arrivare fino in fondo a quel lungo cunicolo, ad intravedere, finalmente, una piccola fonte di luce in lontananza; soltanto quando trovai davvero la forza e la volontà, dentro di me, di riprendere in mano la mia vita ed immergermi in quel caldo e rassicurante bagliore all'orizzonte, il quale mi invitava silenziosamente di raggiungerlo al più presto.

Quella era l'unica strada che avrebbe potuto riportarmi al sicuro, l'unica via che avrebbe potuto mettere fine ad ogni mia sofferenza, ad ogni mio dolore. 

Al di là di quella luce celestiale vi era qualcuno che continuava a parlarmi, a sussurrarmi parole che io non ebbi la capacità di decifrare né di comprendere.

Quei suoni appena accennati, sibilati dolcemente a fior di labbra, si univano in una lenta e soave melodia, una nenia che proveniva da lontano, dalle note a dir poco calmanti ed avvolgenti.

Tentai più volte di oltrepassare quella linea invisibile che divideva la luce dal buio, ma più di una volta fallii a pochi centimetri dal traguardo e la Morte - che altro non aspettava di vedermi capitolare, strisciare al suolo come un verme -, si divertì pazzamente a trascinarmi indietro con i suoi artigli affilati.

Essa non riusciva a sopportare che io avessi potuto, nuovamente, farla franca e prendermi gioco di lei. 

Non riusciva a tollerare e ad accettare di dover perdere per l'ennesima volta con il sottoscritto - uno stupido e banale omuncolo, senza arte né parte -, di lasciarsi sfuggire una così ghiotta occasione di avvolgermi con il suo tetro mantello e condurmi nelle tenebre eterne, nelle fiamme ardenti dell'inferno.

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