6. CHIAMATE NOTTURNE

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Un colpo alla porta spezzò il silenzio malevolo tra di noi. Mi limitai a guardare il muro, aprendovi due grossi buchi con il mio sguardo perso. Non avevo idea di quanto tempo fosse passato da quando eravamo in stanza, muti e costretti alla reciproca presenza dopo il doloroso discorso chiarificatore. Sapevo solo che volevo piangere, ma di certo non di fronte a Levi.

"Sì?" al posto della voce mi uscì un sibilo frantumato. La gola era molto più secca di quanto pensassi, tanto che quasi mi strozzai con le mie stesse parole. Levi non si mosse. Con la coda dell'occhio lo vedevo con lo sguardo fisso di fronte a sé. I respiri tanto flebili da essere quasi inesistenti. Una perfetta lastra di ghiaccio. Fredda, immobile e con ogni probabilità irritata dalla mia sola presenza. La porta si aprì, rivelando la guardia del turno notturno, Reagan. La sua attenzione si catapultò subito sul petto nudo di Levi. Non mancò di sbattere le palpebre un paio di volte come per mettere bene a fuoco la situazione. Il corvino del tutto indifferente al gigantesco punto di domanda che lampeggiava sulla fronte dello Staff.

"Uh... cosa...?" chiese Reagan, puntando il dito contro Levi e sollevando un sopracciglio. Solo allora Levi riemerse. La voce ferma e controllata mentre il tono monotono risuonava impetuoso nelle mie orecchie.

"Jaeger sta male da stamattina. Mi ha tossito addosso e allora ho tolto la camicia. Non ho intenzione di prendermi i suoi germi. Quella merda è disgustosa." il corvino espose il tutto analiticamente. Era il ovvio che avesse macchinato una scusa decente per giustificare lo stato in cui eravamo. Probabilmente i dettagli tecnici erano l'unica cosa a cui aveva pensato. Una punta di fastidio arse cocente nel mio petto.

"Hey! Il linguaggio, Ackerman. E ti slegherò per un secondo. Infilati qualcosa." Reagan fece schioccare la chiusura metallica al braccio di Levi ed io rotai il polso in sollievo mentre il corvino arraffava la prima maglietta che spuntava dall'armadio e se la faceva passare sopra la testa. Sentii distintamente le lacrime trattenute pungermi gli occhi per cui li strizzai saldamente per qualche secondo; il tempo di ricacciare tutto il magone in gola. Non riuscivo più a odiarlo, mi resi conto. Tutta la forza prorompente della rabbia era svanita, lasciando posto ad un'altra emozione. Non ero arrabbiato. Non ero deluso. Non avevo davvero idea di come dovessi sentirmi, ma quella sensazione indecifrabile ruggì forte nella mia mente. Mi morsi il labbro per nasconderne il tremolio mentre io e Levi venivamo riagganciati.  Nonostante tutto, fui in grado di riconoscere quanto fosse stupendo. Mi ero ridotto a questo. Un mero osservatore destinato ad osservare quel dio malvagio risplendere sul suo trono. E Levi aveva tutta l'aria di essere ben consapevole dei suoi poteri. Chiuso nel suo castello di ghiaccio, non mi degnava di uno sguardo. Gli occhi annoiati posati pigramente sul viso di Reagan che reclamava la nostra attenzione. Io per lui non esistevo.

"È ora di cena e dopo c'è il turno delle chiamate. Coraggio ragazzi, andiamo."

Ci alzammo in silenzio e seguimmo il membro dello Staff fuori dalla nostra camera. Nel tragitto Reagan radunò gli altri studenti e ci scortò tutti nell'affollata area comune. Sean e il suo compagno di stanza, Jean, si sedettero vicini e si dedicarono  a battute idiote sulle manette. Armin si teneva occupato con un libro. Gli altri si limitavano a guardarci, come al solito. Persino gli studenti degli altri dormitori avevano gli occhi incollati a me e a Levi.

"Come se non fosse già un vocabolario umano." Levi puntò ad Armin con il pollice, canzonandolo.

"Taci." rantolai. Realizzai che ero ad un passo dallo scoppiare in lacrime per cui smisi subito di parlare, abbandonando quella minaccia  a mezz'aria.

"Come prego?" Levi ringhiò tra i denti. Il ghiaccio freddo e letale ancora una volta nei suoi occhi grigi. Non ero in grado di formulare neanche una parola senza il rischio di riversarmi in un fiume salato per cui mi limitai a scuotere la testa, sperando di farlo desistere. "C'è qualcosa che vorresti dire, Jaeger?" Levi incalzò. Il respiro ancora pesante come di consueto quando sfoderava il suo talento per l'intimidazione. Gli scoccai un'occhiata apprensiva. Un po' di fiato mi tornò in corpo quando Levi la risolse roteando gli occhi. Dopodiché tornammo con la testa sulla nostra cena. Il cibo era molto più restio a finire nello stomaco rispetto al solito. Non riuscii neanche a terminare la Porzione Indispensabile, ovvero la quantità minima che ci imponevano di mangiare prima di poter lasciare il tavolo. Spiai il vassoio di Levi e notai che anche il suo era praticamente immacolato.

JUST FIVE DAYS (TRADUZIONE ITA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora