35.NOVITA'

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Credevo che non ci fosse cosa peggiore al mondo di Levi che mi evitava come la peste. Mi sentivo così vuoto. Avevo passato la notte in bianco e il giorno non era stato migliore. Nonostante fossi tornato in camera con Connie e gli altri le loro conversazioni mi passavano attraverso. Non facevo che pensare a Levi e contorcermi ogni volta che ricordavo i suoi occhi tormentati, le sue parole dure e quei singhiozzi che mi spezzavano l'anima. Levi era triste tanto quanto me, come fossimo due specchi riflessi. Realizzai però che stavo interpretando male le sue emozioni. Lui voleva che stessimo lontani. Era lui che non voleva parlare con me. Era lui che voleva mantenere la distanza. Non osava neanche guardarmi. Avevo passato il Venerdì seguendo senza un briciolo di attenzione le lezioni e mangiando in silenzio durante il pranzo. Il pomeriggio l'avevo speso a creare una sagoma a mia forma sul letto a castello che condividevo con Peter. Dolci ricordi degli abbracci di Levi a perseguitarmi. Era ormai arrivata l'ora di cena e per quanto avessi voluto chiudermi fuori dal mondo, quella era la sera della pizza ed ero deciso ad affogare i miei dispiaceri in un pasto nocivo. Non appena lo Staff ci radunò in mensa però anche quella voglia ingannevole passò. Stavamo aspettando che anche gli altri dormitori si unissero per iniziare a mangiare e accidentalmente o per colpa di un destino crudele mi incrociai con Levi, coperto da una felpa nera di due taglie più grande. Restammo a fissarci un po' troppo a lungo. Il tempo sufficiente a distinguere tutte le sfumature metalliche nei suoi occhi blu oceano e le occhiaie violacee sempre più scure e incavate sul viso stanco. Fu Levi a interrompere il contatto improvvisamente, spostandosi alle mie spalle. In un attimo tutti lo imitarono e quando anche mi voltai per capire cos'aveva attirato l'attenzione del corvino mi scontrai con un membro dello Staff che richiamava la nostra attenzione, battendo stancamente le mani. Aveva un'espressione sofferente in viso. Parlò una volta che tutti ci fummo ridotti al silenzio.

"Okay, ragazzi." iniziò, ma la voce le si incrinò. "Non so davvero come dirvelo. Non c'è un modo giusto. Sono davvero addolorata nel dirvi che Marco Bodt, del dormitorio Hawthorn, la scorsa notte è rimasto ucciso in un incidente stradale." Sentii il sangue ghiacciarmi nelle vene. Scattai verso Jean i cui occhi sgranarono e subito si riempirono di un'agonia quasi tangibile. "Non ha sofferto. E' morto sul colpo. So che molti di voi erano legati a Marco. Sentitevi liberi di andare dai vostri terapisti domattina se ne sentite il bisogno. Siamo tutti addolorati per questa perdita e per voi che dovete affrontarla." non riuscivo a crederci. Marco era vivo e vegeto meno di ventiquattro ore prima. Non potevo credere che Domenica sarebbe rimasto l'ultimo nostro incontro.

"Addolorati? Voi sareste addolorati?! Io sono distrutto!" Jean gridò in mezzo alla mensa, alzandosi in piedi, rovesciando la panca sulla quale era seduto tranquillo fino a un minuto prima. "No, voi non avete il diritto di dire che vi dispiace! Voi non lo conoscevate!" gridava, sbattendo i pugni sul tavolo dopo ogni frase. Gli occhi lucidi e le labbra tirate mentre il corpo tremava, scosso dallo shock che stava attraversando. "Per voi lui era solo un'altra retta del vostro stipendio! Lui per me era il mio mondo! Io lo amavo!" Jean scoppiò in singhiozzi, appoggiando i palmi sul tavolo per tenersi in piedi. La testa nascosta tra le spalle sollevate dai respiri spezzati. Mi alzai nello stesso momento in cui anche Armin e Levi si misero in piedi. Senza pensarci due volte ci mettemmo a cerchio intorno al nostro amico, per dargli un vago senso di protezione. "Fanculo! Andatevene a fanculo! Voi non vi meritate neanche di dire certe stronzate!" Jean urlò in faccia allo Staff, prendendo a calci la panca.

"Jean mi dispiace così tanto." Armin bofonchiò tra le lacrime, stringendo la mano di Jean.

"Amico," Levi sussurrò senza nascondere i tremiti nella voce. Mise una mano sulla spalla scossa di Jean. "Siamo qui." i singhiozzi di Jean gli agitavano i muscoli sotto agli occhi di tutti i presenti. Volevo ficcare un proiettile in mezzo alla fronte di tutti quegli sconosciuti che se stavano lì a fissarlo con sguardi impietositi. Non potevo credere che Marco fosse davvero scomparso per sempre. Non poteva lasciarci così. Sentii le lacrime arrivare insieme ad un nodo soffocante in gola. Marco se n'era andato e nessuno di noi l'avrebbe mai più rivisto. Il ragazzo con le lentiggini, il ragazzo più dolce che avessi mai conosciuto, non era più con noi. Levi si tolse la felpa e la passò a Jean che l'afferrò e se la mise addosso, cercando un po' di calore in quel gesto di conforto. Io avvolsi Jean in un abbraccio, tenendolo stretto. Volevo essere forte per lui, ma le braccia nude di Levi mi si pararono davanti. La pelle candida del polso sinistro zampillava di nuovi tagli in mezzo alle cicatrici quasi invisibili. Guardai quelle linee rosse e fresche deturpare i tessuti morbidi che tante volte avevo baciato e non riuscii più a resistere. Lacrime calde mi appannarono la vista e mi inzupparono le guance, scendendo fino alle labbra piegate da singulti che non ero in grado di trattenere. Ero a pezzi, lo eravamo tutti e non c'era assolutamente niente che io o qualcun altro potessimo fare per aggiustare le cose.

JUST FIVE DAYS (TRADUZIONE ITA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora