33. BECCATI

280 20 9
                                    

"Svegliati, Eren." Levi disse piano, piegandosi sopra al mio letto.

"Ancora cinque minuti." masticai con le palpebre pesanti e la bocca impastata dal sonno.

"No, adesso." Levi indurì il tono. Uno scossone gentile della mano mi agitò la spalla. Il corvino non scherzava quando aveva detto che sarebbe andato avanti tutta la notte. Alle quattro e mezza mi aveva finalmente permesso di crollare dopo un ultimo doloroso orgasmo. Ero totalmente prosciugato e assolutamente impossibilitato ad uscire dal letto. Quel poco di sensibilità che riuscii a racimolare la usai per accorgermi che ero vestito. Levi doveva averci pensato dopo che ero praticamente svenuto tra le sue braccia. L'ultima cosa che ricordavo lucidamente era il suo corpo caldo e sudato avvolto attorno al mio, nelle stesse condizioni se non peggiori. Eppure steso lì nel letto mi ero ritrovato coperto da una maglietta infilata al contrario e dei pantaloni arenati alla bene e meglio intorno alle cosce. Non so come sollevai le palpebre pesanti come macigni solo per dare una spiegazione al sordo trambusto nella stanza. Levi si muoveva deciso da una parte all'altra, sistemando qualche vestito e riordinando Dio sapeva solo cosa. Tirai i pantaloni su fino alla vita e mi lasciai cadere giù dal letto. Le anche erano instabili e doloranti, ma ci ero già passato. Sapevo di poter ignorare la cosa con un po' di forza di volontà.

Levi però fu subito al mio fianco. Mi cinse gentilmente con le braccia solide per tenermi in piedi, lasciando riposare le mani esperte sulla parte bassa della mia schiena. "Dio, sei così perfetto." mormorò, appoggiando la fronte al mio petto. Il suo calore mi fece dimenticare in fretta quello tiepido del letto. Appoggiai il mento sulla sua testa già pettinata e mi strinsi a lui a mia volta, rendendo più stretto e intimo il nostro abbraccio. Non ci dicemmo nulla. Ci limitammo a dondolare piano avanti e indietro, giocando sul sostegno reciproco. Semplicemente eravamo stretti in un'unione perfetta, calda, rassicurante. Ci beavamo in silenzio del nostro profumo con respiri profondi e tranquilli. Pure scosse di elettricità passavano dalla sua pelle alla mia, come due parti di uno stesso organismo. Levi si mise sulle punte e mi baciò il collo. Non un bacio sensuale o passionale, ma un gesto intimo e rincuorante. Sorrisi a quel sentimento nuovo e sconvolgente da cui entrambi eravamo dipendenti e che credevamo indistruttibile finché una voce alle nostre spalle ci fece svegliare sul serio.

"Esattamente come avete intenzione di spiegarvi adesso? Non che qualche scusa possa servire a qualcosa, si intende." Io e Levi sobbalzammo, staccandoci al volo, anche se era del tutto inutile. Scattammo verso la porta per vedere Sunni. Gli occhi arcigni fissi nei nostri, grandi di sgomento, e il corpo massiccio a bloccare la soglia. Non avevamo via d'uscita. Sentii un freddo glaciale iniettarsi nelle vene e una sensazione orribile inacidirmi lo stomaco. Levi scosse il capo e la sua risata bassa e amara spezzò il silenzio inquietante.

"Fanculo, lo sai perfettamente cosa sta succedendo. Non hai nessun bisogno di spiegazioni. A questo punto vuoi solo metterci in soggezione." Levi sputò acido.

"Toglietevi le mani di dosso. Adesso. Chiamo il vostro terapista." Sunni ci informò severamente, raggiungendo il telefono infilato nella cintura. Levi incrociò i suoi occhi argentei con i miei e mi schioccò un bacio veloce sulle labbra prima di fare un passo indietro. Mi sentii così vuoto quando persi il contatto con lui. Continuò a guardarmi, mimando con le labbra un ultimo Ti amo. Negli occhi plumbei splendeva forte la fiamma della paura, ma nulla di quel tormento combaciava con l'espressione fredda e vitrea. Sentii Sunni parlare con Trevor, ma la conversazione giunse ovattata alle mie orecchie. Riuscivo solo a guardare Levi come se fossi stato consapevole che sarebbe stata l'ultima volta.

I minuti successivi in cui Sunni ci scortò da Trevor al pari di due detenuti furono una macchia sfocata e confusa. Le gambe si mossero in automatico. Una volta che la porta del suo ufficio si aprì, sentii chiaramente che stavo per vomitare o per svenire o entrambi. Non potei neanche guardare Levi mentre Trevor ci faceva sedere su due divani diversi della stanza.

JUST FIVE DAYS (TRADUZIONE ITA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora