3. DOLORE

190 15 2
                                    


Levi sprofondò sul divano accanto a me, completamente prosciugato. Tutto ciò che riuscivo a fare era guardarlo. Intuivo la mia mente sforzarsi di elaborare i fatti, ma era estremamente difficile fare i conti con la dura realtà che trasudava dal guscio vuoto del mio ragazzo.

"Mi dispiace così tanto, Eren." Levi parlò. La sua voce era impastata e ferma. Fin troppo tranquilla, data la situazione. La conturbante nota di rassegnazione faceva da padrona. Non era sotto effetto della coca. Non più, perlomeno. Era troppo pacato per essere ancora sballato. Sarebbe stato in grado di guardarmi negli occhi se fosse stato ancora succube dell'adrenalina da coca. Io non riuscivo neanche a parlare. Il suono della sua voce, la sua presenza distorta erano troppo. Tutto era semplicemente troppo. "Ti amo." bisbigliò, ancora lontano dal mio viso.

Restai in silenzio per un'eternità. Un frammento di tempo bloccato su noi due. Sui lati oscuri che erano riemersi con prepotenza una volta usciti da Asheville. Sotto al sole della California io e Levi turbinavamo, costantemente in balia di un tornado di emozioni pronto a colpirci inaspettatamente, come quella sera d'estate. "Che cos'hai fatto? Dimmi tutto. Ho passato ore di angoscia. Nessuna scusa. Non mi interessano le scuse adesso. Niente lacrime. Non riesco a vederti piangere. Dimmi solo come sono andate le cose. Voglio solo la verità. Nuda e cruda." mi sentii reclamare quei diritti con voce robotica. Ero ben conscio delle sensazioni sottostanti, ma la mia mente era ancora bloccata e temevo lo sarebbe stata fintanto che quel Levi affranto e contaminato fosse rimasto lì con me. Non mosse un muscolo mentre lo spingevo a farci del male con la mia assurda richiesta. Quando parlò, la sua voce era poco meno che un sussurro.

"Ho camminato fino al molo di Santa Monica." la mia mascella toccò terra. Il molo distava circa sedici chilometri dal suo appartamento. Non sarei riuscito neanche ad arrivarci nello stesso tempo in cui Levi aveva fatto avanti e indietro. Non dissi nulla e lo lasciai continuare, certo che quello fosse il dettaglio meno sconvolgente di quanto avesse da dirmi. "Ho cercato uno spacciatore. Ho tirato di coca con lui. Fatto qualche giostra. Quando la coca iniziava a svanire sono andato a casa di questo tizio e ho bevuto e fumato. Bevuto e fumato di nuovo. Alcune ragazze ci hanno provato, ma non c'è stata storia. Sono impegnato... E tutte quelle cose lì, presente? Comunque: ho finito di sballarmi e di bere. Ho guardato l'orologio. Sono diventato tutto un - Oh no, è tardi, cazzo - Ho cercato un passaggio ed eccomi qui." Levi raccontò tutto a batteria. Di sicuro le labbra secche e incollate e i respiri affannati non potevano dare vigore alle sue parole, ma ero certo che parte del problema fosse la vergogna e la mortificazione che non sapeva come gestire.

"Beh, grazie a Dio non hai guidato. E che mi dici del tuo gettone rosso? Dei tuoi tre mesi puliti?" non volevo farlo sentire in colpa, ma il risentimento mi sfuggì dalle labbra senza che riuscissi a controllarlo.

"Al momento galleggia nell'oceano." rispose atono Levi, ma neanche se fossi stato sordo avrei mancato l'enorme sofferenza nelle sue parole. Aveva gettato tutto al vento e lo sapeva. Aveva ceduto e faceva male. Molto più male delle altre volte e lo capivo. Era facile arrendersi quotidianamente alla tentazione, ma una volta sperimentata la forza di dire di no, la sconfitta era ancora più bruciante. Come se non ci fosse mai davvero modo di scappare dai propri demoni, soprattutto quando questi erano proprio dentro di te.

"Cazzo, Levi. Sento che è colpa mia. Non avrei dovuto arrabbiarmi tanto." tentai di dire, mordendomi il labbro per bloccare le lacrime. Ero infuriato, ma relegai tutto in un angolo. Avrei fatto dopo i conti con la rabbia. Ora tremavo solo alla sofferenza tangibile del mio ragazzo.

"No, Eren, non pensarlo neanche. Non hai spinto tu la coca nel mio naso. Non mi hai versato la Vodka giù per la gola né mi hai rifilato in mano il fumo. Niente di tutto ciò è colpa tua. È solo colpa mia e mi dispiace da morire, Eren." la sua voce si incrinò e ne fui contento in un certo senso. Faceva male, ma preferivo mille volte sentire tutte le sfumature del suo stato d'animo piuttosto che interfacciarmi con un cumulo di emozioni anestetizzate.

JUST FIVE DAYS (TRADUZIONE ITA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora